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AUSTRALIAN OPEN

L'ultima sconfitta di Djokovic a Melbourne? 2.195 giorni fa, il coreano Hyeon Chung...

Quando Jannik Sinner e Novak Djokovic scenderanno in campo saranno trascorsi 2195 dall'ultima sconfitta del serbo all'Australian Open. Quel giorno Sinner era in Egitto a caccia del primo punto ATP, Djokovic aveva “solo” 12 Slam in bacheca e il suo erede sembrava essere... Hyeon Chung.

Riccardo Bisti
25 gennaio 2024

22 gennaio 2018, lunedì. Jannik Sinner si trovava in Egitto. Privo di punti ATP, perdeva nelle qualificazioni di un Futures a Sharm El Sheikh contro Fabian Marozsan. Forse mossi a compassione per un sedicenne che (in otto tentativi) non aveva ancora passato le qualificazioni in un torneo ITF, gli diedero una wild card per il torneo della settimana successiva. Dimostrò di meritarsela: battendo l'indiano Aryan Goveas, passò per la prima volta il primo turno in un tabellone principale. Ergo, un paio di settimane dopo sarebbe entrato in classifica ATP. Ma era ancora un carneade. Qualche migliaio di chilometri a sud-est, Novak Djokovic incassava quella che – fino a oggi – è la sua ultima sconfitta all'Australian Open. C'è stato un gran parlare del KO contro Alex De Minaur in United Cup, ma se limitiamo la statistica all'Australian Open, il serbo è imbattuto da allora: 33 partite. Quattro titoli più i cinque successi nell'edizione in corso. I bookmakers lo danno favorito anche per il match di venerdì contro l'azzurro, ma mai come stavolta c'è la sensazione che lo sgambetto sia possibile. I tre scontri diretti di novembre (con due successi di Sinner) fanno pensare che sia pronto per giocarsela alla pari. Inoltre ha speso meno energie del serbo, che però ha nella Rod Laver Arena una sorta di feudo personale.

E allora la sconfitta negli ottavi del 2018 contro Hyeon Chung assume un valore quasi mistico, da archeologia tennistica. Rispetto a quel 22 gennaio 2018 è cambiato tutto. Accompagnato dalla strana coppia Stepanek-Agassi, stava combattendo con un problema al braccio che sarebbe sfociato in un piccolo intervento. Era il peggior momento della sua carriera, però sperava di arrivare in fondo. Ci credeva davvero. Non aveva fatto i conti col rampante coreano, che lo battè 7-6 7-5 7-6 in tre ore e mezza di scambi mozzafiato. Il tennis era convinto di aver trovato una stella. Al turno precedente aveva battuto Alexander Zverev e i giornalisti si erano divertiti a metterlo in imbarazzo, chiedendogli se fosse fidanzato e come fosse la qualità dei massaggi in Thailandia (!), laddove aveva svolto la preparazione invernale. Con gli occhi riparati da un grosso occhiale da vista, ottimo per compensare l'astigmatismo, diede (non) risposte colme di imbarazzo. Ma sul campo suonava un'altra musica. “Gioca come me qualche anno fa – esalò Djokovic in conferenza stampa – ha meritato di vincere, ogni volta che era in difficoltà tirava colpi incredibili. Sembrava un muro. Impressionante, gli auguro il meglio”.

«Chung gioca come me qualche anno fa. Ha meritato di vincere, ogni volta che era in difficoltà tirava colpi incredibili. Sembrava un muro» 
Novak Djokovic, 22 gennaio 2018

Pur ammettendo di aver qualche problema fisico, lo riempì di elogi. “Non ha evidenziato punti deboli. Giochiamo in modo simile, ha le carte in regola per essere un top-10. Dipenderà da lui, ma lo rispetto perché è un lavoratore, disciplinato, tranquillo. È un bravo ragazzo che ha a cuore la sua carriera e le sue prestazioni. Sono sicuro che farà belle cose”. Concetti che potrebbe ripetere parlando di Sinner, con la differenza che l'azzurro è già una realtà. Chung avrebbe poi battuto Sandgren e perso contro Federer in semifinale, ma quel torneo sarebbe rimasto il picco della sua carriera. Numero 19 ATP, poi nulla più. Caviglia e tendine d'achille gli impedirono di giocare Roland Garros e Wimbledon, poi l'anno dopo fu costretto a saltare gli stessi tornei per i guai alla schiena. Avrebbe poi giocato l'ultima partita nel settembre 2020 prima di un eterno stop per problemi alla schiena, comprensivi di operazione. Attorno a lui si era creato un alone di mistero, accompagnato da un assordante silenzio social.

A fine 2022 è tornato per giocare un doppio a Seul, poi lo abbiamo rivisto la scorsa primavera, ai Challenger di Seul e Busan. “Ho imparato a prendermi cura del mio corpo – raccontò – ho anche cambiato movimento al servizio, il nuovo è meno soggetto a infortuni ed è meno scomodo. Adesso è più importante evitare infortuni che tirare forte”. Perse sei partite di fila (una contro Andy Murray a Surbiton), poi vinse finalmente un match nelle qualificazioni di Wimbledon, contro Dimitar Kuzmanov. Il 28 giugno, tuttavia, altro ritiro quando era in svantaggio 6-1 2-0 contro Enzo Couacaud. Un dolore alla spalla gli ha fatto chiedere l'intervento del medico sul 4-1, ma dopo pochi game ha alzato bandiera bianca. Da allora è tornato nell'oblio e non si sa più nulla di lui. La stampa coreana non ne parla e la barriera linguistica è uno dei pochi baluardi che resistono alla globalizzazione.

Una delle rare immagini di scoramento di Novak Djokovic all'Australian Open

Nell'intervista sul campo dopo il successo con Djokovic, Chung ammise che il serbo era il suo idolo. "Ho sempre cercato di imitarlo"

Figura ancora nel ranking ATP in virtù della partita vinta a Wimbledon, ma il suo futuro è un enorme punto interrogativo. E pensare che qualcuno aveva ipotizzato che potesse essere il possibile erede di Djokovic. “L'ho visto giocare per la prima volta quando ha vinto l'Australian Open nel 2008, da allora ho cercato di imitarlo” diceva Chung dopo averlo battuto, ipotizzando che un giorno – forse – gli avrebbe chiesto una foto insieme (come aveva già fatto con Nadal). Si era rifiutato di parlare dell'unione “olimpica” delle due Coree (a Tokyo hanno partecipato come un unico Paese), e continuava a zoppicare con l'inglese. Di quella realtà sono rimaste solo macerie (per lui) e ricordi (per Djokovic). All'epoca, il serbo aveva dodici Slam in bacheca. In sei anni ha raddoppiato il bottino e ha fatto irruzione nel dibattito sul più forte di sempre, peraltro diventando il GOAT in un buon numero di statistiche. Uno status reso possibile dall'incredibile record in Australia, la cui mitologia non è stata scalfita (anzi, è aumentata) dai fatti del 2022, quando gli fu impedito di giocare per la nota faccenda legata al vaccino.

Nel frattempo, quel ragazzo altoatesino che stentava a superare le qualificazioni nei tornei ITF è cresciuto, giorno dopo giorno, fino a diventare il suo principale antagonista. Peccato che tra i due ci siano quattordici anni di differenza, altrimenti avrebbe potuto esserci una bella rivalità. Quello di Melbourne sarà il settimo scontro diretto, con Djokovic avanti 4-2 (che diventa 2-0 negli incontri al meglio dei cinque set). Ma i numeri – così come i record – sono fatti per essere aggiornati e poi smentiti. Quando Djokovic e Sinner scenderanno in campo saranno trascorsi 2195 giorni da quel 22 gennaio 2018, perché in mezzo c'è stato anche un anno bisestile. Non ci sono veri e propri segreti per imitare Chung e rispedire Djokovic negli spogliatoi con una sconfitta sul groppone. Ma Sinner scenderà in campo con una certezza: il suo futuro tennistico è più solido rispetto a quello del coreano. E poi, se c'è un giocatore in grado di mettere in campo un'intensità di gioco simile a quella del serbo, quello è proprio Jannik Sinner. L'azzurro giocherà anche contro la storia.