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LA STORIA

Incidente, paralisi, lutto e rinascita

Un grave incidente a Roma portò James Blake a un soffio dalla paralisi. Quell'episodio gli avrebbe permesso di accudire il padre nelle ultime settimane di vita e cambiare totalmente prospettiva. Da lì sarebbe nata una persona completamente diversa. Di successo nel tennis, ma soprattutto nella vita.

Riccardo Bisti
28 aprile 2022

L'assenza di contatto fisico non rende il tennis uno sport sicuro. Pallate, racchettate, cadute, incidenti di vario genere... Il caso più tragico risale a una vecchia edizione dello Us Open, quando un giudice di linea morì per una caduta dopo aver cercato di evitare un servizio di Stefan Edberg. Sempre a New York si è verificato il caso più famoso della storia recente: la pallata di Novak Djokovic alla giudice di linea, foriera di squalifica. Ma la storia è densa di episodi curiosi: una testata accidentale tra Goran Ivanisevic e Mark Philippoussis che costò sei punti di sutura al croato, o il taglio al dito di Krystina Pliskova per aver cercato di accendere un ventilatore. Senza dimenticare lo stupido pugno a un cartellone pubblicitario di Marc Rosset durante la Hopman Cup. Risultato? Fu costretto a saltare l'Australian Open. Ma c'è un episodio che molti conoscono solo superficialmente: quella volta in cui James Blake rischiò la paralisi per essersi fratturato la settima vertebra cervicale, a seguito di un duro impatto contro il paletto esterno della rete. L'episodio sta per diventare maggiorenne, poiché si è verificato il 6 maggio 2004 a Roma, presso il Tennis Club Parioli, laddove si trovava dopo essere stato eliminato agli Internazionali BNL d'Italia. Una storia che merita di essere raccontata, anche perché Blake è poi arrivato a definire quell'incidente come la cosa migliore che gli fosse successa. L'attuale direttore del Miami Open aveva 24 anni ed era alla sua terza stagione nel tour dopo aver interrotto gli studi ad Harvard. Pur essendo meno giovane di Roddick e Fish, era ancora agli esordi e si stava costruendo una bella immagine.

Le sue origini afroamericane lo resero un personaggio commerciabile, al punto da siglare un contratto con IMG Models. E nessuno si stupì quando People Magazine lo definì l'atleta più sexy. Rendeva al massimo sul cemento, mentre non amava la terra battuta. Numero43 ATP, nella primavera 2004 perse al primo turno a Monaco di Baviera e poi a Roma, contro Jiri Novak. In attesa di recarsi ad Amburgo, rimase nella capitale: partecipò a una funzione in Vaticano e a un ricevimento in onore di Giorgio Armani. In pieno relax, il 6 maggio riprese ad allenarsi. Vista la scarsa disponibilità di campi al Foro Italico (allora ce n'erano soltanto otto, contro i quattordici attuali) lui e Robby Ginepri si ritrovarono al TC Parioli. Si accordarono per giocare un set con qualcosa in palio: il perdente si sarebbe dovuto mettere spalle alla rete, piegandosi in avanti, con l'avversario che avrebbe dovuto cercare di colpirlo nel fondoschiena. Goliardata all'americana, che ben descrive il clima di quell'allenamento. A metà della partita, Ginepri giocò una smorzata. Nel tentativo di arrivare sulla palla, Blake si impuntò sulla terra battuta e cadde a faccia in giù contro il paletto. “Il colpo fu talmente forte da far tremare l'intera rete, ho capito subito che era qualcosa di grave – ha poi raccontato Ginepri – è stato uno shock”. Dopo l'impatto, Blake cadde a terra a pancia in giù. Mentre il coach Brian Barker correva a chiamare un ambulanza, Ginepri e il suo coach John Thompson – in buona fede – commisero l'errore di girare Blake e coprirlo con un asciugamano. “Volevamo metterlo in una posizione più corretta, evitando che avesse la testa per terra”. Va da sé che un'azione del genere è sbagliata quando c'è il rischio di lesioni spinali. Ma loro non lo potevano sapere.

«Io e mio padre ci siamo detti tutto quello che dovevamo dirci. Se non mi fossi fatto male non sarebbe successo: lui mi avrebbe ordinato di continuare a giocare nel circuito»
James Blake
ASICS ROMA

Il leggendario quarto di finale dello Us Open 2005 tra Andre Agassi e James Blake

Si è poi scoperto che Blake fu salvato dai suoi riflessi: voltando leggermente la testa prima dell'impatto, evitò il peggio. In caso contraro avrebbe rischiato seriamente la paralisi. Poteva muovere le dita dei piedi e delle mani, ma non era in grado di parlare. Dopo mezz'ora di strada, l'ambulanza lo portò in un ospedale pubblico e la radiografia evidenziò la gravità dell'infortunio. La sera stessa fu trasferito in una clinica privata, dove fu confermata la frattura della settima vertebra cervicale e si ipotizzò anche una frattura alla schiena (non potevano dirlo con certezza perchè aveva una grave scoliosi, al punto da aver indossato un corsetto ortopedico per cinque anni). I medici decisero di lasciarlo sotto osservazione per qualche giorno, ma un paio di sere dopo Blake spinse per tornare a casa. “Avevo convinto il dottore a lasciarci andare domenica o lunedì, ma James disse che voleva partire subito – ricorda coach Barker – non capivo come potesse salire su una macchina, visto che non poteva camminare né stare in piedi”. In qualche modo riuscirono nell'impresa: a bordo di una sedia a rotelle, non mangiò né bevve per tutto il volo da Roma a New York per evitare di dover utilizzare il bagno. In realtà, la fretta di tornare a casa non era dettata soltanto dalla scarsa fiducia per i medici italiani, bensì dal desiderio di tornare a casa da papà Thomas, malato di cancro. Sarebbe scomparso sei settimane dopo, ma in quei giorni fu costantemente accudito dai figli.

Per questa ragione, Blake ricorda quasi con piacere l'incidente: l'infortunio gli permise di dire addio a suo padre. “In quelle settimane ci siamo detti tutto quello che dovevamo dirci – raccontò l'americano – se non mi fossi fatto male non sarebbe successo. Lui mi avrebbe ordinato di continuare a giocare nel circuito”. In effetti, Thomas Blake era legatissimo alla carriera dei figli (anche Thomas jr. è stato un professionista, n.264 ATP nel 2002): l'anno prima non li aveva informati del tumore fino a quando non tornarono da Wimbledon, e in punto di morte si fece promettere che avrebbero giocato il torneo ATP di Newport. Mentre ricuciva il rapporto con il padre, James effettuò una riabilitazione fastidiosa ma tutto sommato breve: seguendo le indicazioni del New York Hospital for Special Surgery dovette tenere un collare cervicale per due settimane, restando completamente fermo. Una volta rimosso, gli concessero 15-20 minuti al giorno di cyclette e camminata sul tapis roulant. Ma Blake non riusciva a stare fermo, così uscì di casa per una breve corsetta. Al rientro, avvertì un forte dolore alla schiena. “Chi ti ha autorizzato a correre!” lo rimproverò il medico. Il recupero non ebbe intoppi e riprese ad allenarsi dopo circa 45 giorni, accudendo il padre fino alla sua scomparsa (3 luglio 2004). Lui e Thomas onorarono la promessa e giocarono il doppio a Newport, vincendo una partita.

La biografia di James Blake è uno dei libri più apprezzati scritti da un tennista

L'aggressione di cui James Blake è stato vittima nel 2015

Ma il calvario non era ancora terminato: durante un allenamento in Connecticut, si bloccò perché avvertiva dolore a un orecchio e alla testa. Il medico di famiglia diagnosticò un'infezione all'orecchio e prescrisse antibiotici, ma una settimana dopo il giocatore si svegliò con un dolore infernale, un'eruzione cutanea sulla testa e una paralisi sul lato sinistro del volto. Incredibile ma vero, non c'entrava con l'incidente di Roma: semplicemente, lo stress gli aveva fatto prendere la varicella. Per questo non si preoccupò più di tanto, almeno fino a quando – a fine luglio – non arrivarono altri sintomi: non sentiva dall'orecchio sinistro, avvertiva continuamente vertigini e aveva il palato alterato. Un neurologo di Yale gli disse che erano comuni manifestazioni del suo virus, e che per favorirne la scomparsa avrebbe dovuto fermarsi. Non lo volle ascoltare e si reco a Washington per il locale torneo ATP. “È stata la mia peggiore esperienza sul campo da tennis: avevo vinto quel torneo in passato, quindi ci andai per il pubblico. Ma non vedevo bene e non avevo alcuna fiducia”. Un mese dopo giocò un toneo a Delray Beach, vinse una partita ma finalmente si rese conto che non poteva andare avanti. Stagione chiusa in anticipo, allenamenti leggeri e ridotti, poker con gli amici, qualche viaggio di piacere. È ripartito nel 2005: l'occhio sinistro non era ancora in perfetto ordine, ma almeno poteva giocare senza troppi problemi. Quell'anno vinse quattro tornei (due ATP e due Challenger) e raggiunse per la prima volta i quarti allo Us Open, perdendo contro Andre Agassi in uno dei match più belli degli ultimi anni, perso 7-6 al quinto. Il 2006 sarebbe stata la sua migliore stagione: vinse cinque titoli ATP e salì in quarta posizione. Ciliegina sulla torta: giunse in finale al Masters di Shanghai, perdendo solo contro Federer.

Nella sua autobiografia, una delle più interessanti scritte da un tennista (scritta con Andrew Friedman e uscita nel 2007) disse che tutto questo non sarebbe stato possibile senza l'incidente del 2004. “Ho imparato a vivere alla giornata. Ogni singolo giorno cercavo di muovere un po' lo sguardo, sorridere, fare qualcosa in campo – scrisse – le prime sedute sul campo duravano cinque minuti. Però miglioravo giorno dopo giorno, e un mio amico mi disse che di questo passo avrei vinto lo Us Open l'anno successivo”. Pensò che fosse una follia, invece un anno dopo giunse nei quarti e per poco non batteva Agassi. “Non ho vinto lo Us Open, ma nel 2005 ho giocato bene e il 2006 è stata la mia migliore stagione. Soltanto due anni prima, quando tutto mi faceva male e non riuscivo a muovere la faccia, non l'avrei mai detto. Avevo bisogno di fare piccoli passi e fissare obiettivi immediati. In questo modo, ho raggiunto traguardi che non avevo nemmeno osato immaginare”. Quell'episodio lo avrebbe cambiato come persona: si rasò a zero i capelli (mettendo all'asta le treccine che lo avevano reso famoso) e divenne un emblema di comportamento. Ritiratosi nel 2013, due anni dopo fu protagonista di un brutto episodio durante lo Us Open, quando fu brutalmente aggredito da un poliziotto che lo aveva scambiato per un delinquente. L'episodio alimentò la sua spinta sociale: scrisse un altro libro e spiegò la ragioni del suo attivismo sociale, soprattutto in difesa delle minoranze etniche. Questo impegno si aggiunge a quello dell fondazione a suo nome, fondata nel 2008 e che raccoglie fondi per la ricerca contro il cancro. Secondo alcuni, la paralisi è peggio della morte perché costringe a condurre una sorta di non vita. Blake lo ha capito e l'episodio del 2004 lo ha totalmente cambiato, rendendolo la persona attuale. “Senza quell'incidente, non sarebbe andata così”. Momenti dolorosi, ma anche istruttivi. Per lui, ma anche per tutti noi.