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IL RACCONTO

Il giornalista investigativo a caccia di un punto ATP

Felix Hutt è un esperto di cronaca nera e storiacce. Da ragazzo giocava bene, ma aveva smesso a 17 anni. La vittoria di Federer all'Australian Open 2017 lo ha spinto a rientrare nel tour dopo un'eternità. Obiettivo: conquistare un punto ATP giocando nei Paesi più improbabili. Non ce l'ha fatta, ma ha raccontato tutto in un libro. 

Riccardo Bisti
26 luglio 2023

“Maledetto Dmitry Myagkov”
Flavio Cobolli e Federico Gaio spallettavano con impegno sul Centrale dell'ASPRIA Harbour Club di Milano. Il cielo era terso e non c'erano le avvisaglie del disastro che qualche settimana dopo avrebbe causato danni su danni alla città di Milano, compreso il club di zona San Siro. L'andazzo del match era chiaro: la freschezza e la motivazione di Cobolli avrebbero avuto la meglio, così la permanenza in tribuna si prestava a una chiacchierata con Corrado Erba, una delle persone – non sono poi molte – con cui è sempre piacevole discutere di tennis. Corrado non è soltanto amico e collaboratore di Tennis Magazine, ma a tempo perso si diletta nella scrittura di libri. Come quello che narra del folle Us Open 1977, tra sparatorie in tribuna, transessuali e segni cancellati, e un altro in cui racconta l'incrocio tra sport e politica negli anni '70 racchettari. Data la passione comune per l'editoria, il discorso è rapidamente scivolato sui libri di tennis. La pensiamo allo stesso modo: esce un po' troppa roba, non sempre utile, talvolta scritta maluccio, in nome della malsana necessità di rincorrere l'attualità. “Ma c'è un libro che è davvero ben fatto” diceva Corrado, ben sapendo di stimolare la mia curiosità. “Peccato che non sia mai uscito in italiano”. Poco avvezzo al francese, ero già scocciato per la mancanza di iniziativa degli editori nostrani: nessuno ha ancora pensato di tradurre le biografie di Alize Cornet (che pare scriva benissimo) e Richard Gasquet, aggrappato al suo rovescio e a una voglia di giocare fuori dal mondo (Amburgo è stato il 24esimo torneo del suo 2023!), ero convinto che citasse uno dei due. O magari i racconti di Vince Spadea, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa.

Mi ha colto in contropiede.
“Qualche anno fa c'era un tizio che a 35 anni ha deciso di provare a entrare nella classifica ATP. Per riuscirci, è andato a giocare i tornei ITF in giro per il mondo, ovviamente nei luoghi più sperduti. E ha raccontato tutto in un libro”.
Corrado non ricordava se ce l'avesse fatta, a fare 'sto benedetto punto ATP, ma ricordava che del libro non c'era traccia nella nostra lingua. E allora vale la pena raccontare la storia dietro Lucky Loser: Wie ich einmal versuchte, in die Tennis-Weltrangliste zu kommen (Lucky Loser: come una volta ho provato a entrare nella classifica mondiale del tennis). L'autore è una garanzia: Felix Hutt è un giornalista di quelli bravi. Ha lavorato per Stern, poi per Der Spiegel e un paio d'anni fa è approdato in TV con l'assunzione di RTL. Giornalista investigativo, conduce una trasmissione denominata Felix Hutt deckt auf (Felix Hutt rivela), in cui ha sfrugugliato nei più disparati ambienti malavitosi, non solo tedeschi, confezionando un prodotto di ottima qualità. D'altra parte era già stato insignito di un premio di prestigio come l'European Press Prize.
Cosa c'entra col tennis, vi chiederete.

Felix Hutt presenta il suo libro a Munchen TV

«In Uganda le righe sono segnate con il gesso e per l'arbitro è impossibile capire se una palla è buona. Le piazzole sono distrutte, l'aria è inquinata dai gas di scarico, è umido e caldo. Non credo che ci tornerei» 
Felix Hutt
ASICS ROMA

Classe 1979, come milioni di tedeschi si è appassionato al tennis nell'estate del 1985, quando Boris Becker vinse Wimbledon in età da foglio rosa, nell'ultima edizione giocata con palline bianche.
Ha iniziato a giocare ed era bravino. “Prima di andare a studiare negli Stati Uniti non ero male” dice lui, che ha avuto la possibilità di condividere un tabellone con Roger Federer. Autunno 1996, Circuito Satellite svizzero nella sconosciuta cittadina di Kappel. Nel tabellone di qualificazione della seconda tappa, il futuro numero 1 del mondo “Perse contro il mio amico Valentino Fest. Io ebbi l'opportunità di scambiarci due parole negli spogliatoi, già allora mi colpì per l'innata eleganza. Probabilmente era già sotto contratto con Nike e Wilson”. Federer aveva appena incassato un 6-0 al terzo, mentre Hutt aveva perso 6-3 6-2 contro tal Christoph Bach. È stata l'unica volta in cui si sono incrociati, almeno fisicamente.

Il fast forward fa un salto di vent'anni, quando lo svizzero sfda Rafael Nadal nella finale dell'Australian Open 2017. “A mio avviso, la partita più bella di sempre”.
Federer era reduce da uno stop di sei mesi e pochi credevano a una seconda giovinezza. Nemmeno Hutt, che aveva abbandonato ogni velleità agonistica e quel giorno si trovava in vacanza, in Sudafrica, con la moglie Sina. Rapito dal match, fece una sorta di fioretto: se Federer avesse vinto, la mattina dopo sarebbe andato a correre. Detto, fatto. Ma quel successo ha riacceso in lui il sacro fuoco della competizione. Vent'anni dopo, perché non riprovare a entrare nel ranking ATP? In fondo era già un giornalista di successo, al massimo avrebbe potuto imprigionare le sue esperienze sulle pagine di un libro. “L'idea di scriverlo c'era sin da quando sono partito” ha ammesso. E così, tra dieta e allenamenti presso il fido STK Garching, laddove si allena sul Campo 12, Hutt ha intrapreso il suo progetto. Spoiler: non ce l'ha fatta. Ha giocato sei tornei, spalmati su cinque Paesi: Italia (nell'ovvia destinazione di Santa Margherita di Pula), Pakistan, Turchia, Israele e Uganda. Nella quarta di copertina hanno scritto anche Cambogia, perché in effetti fa molto esotico. In verità ci aveva giocato un paio di tornei nel 2012, segno che il pallino di provarci ce l'aveva sempre avuto.
Dettagli.

Il "campo centrale" trovato da Felix Hutt a Islamabad

Felix è stato a un match dall'impresa: nel dicembre 2017 ha passato le qualificazioni a Islamabad, in Pakistan, dunque gli sarebbe bastato passare il primo turno per vedere il suo nome in classifica ATP. “E mi sarei tatuato la classifica sul braccio, giuro”. Niente da fare: un ragazzino russo di 17 anni, tal Dmitry Myagkov, ha infranto il suo sogno battendolo 6-4 6-1. “In Pakistan sono consapevoli della cattiva nomea del Paese, quindi fanno il possibile in termini di ospitalità – racconta Hutt – sono gentili ed accomodanti, dagli hotel fino agli autisti. Certo, non bisogna aspettarsi gli standard tedeschi. In quel periodo ho pensato spesso di mollare, ma esperienze come quella fanno passare la voglia di arrendersi”. A ben vedere, Hutt non ha fatto follie: non si è preso anni sabbatici, ha continuato a lavorare e – in assenza di sponsor – ha finanziato le trasferte con il suo stipendio. O meglio, era lo sponsor di se stesso.

“Ho reinvestito così l'anticipo del libro” racconta. Tanto impegno gli ha permesso di tornare competitivo, al punto da rientrare (dopo una vita!) tra i top-500 di Germania. “Purtroppo mi sono strappato il tendine di una spalla dopo il Pakistan e ho un po' perso il ritmo”. Infatti ha ripreso quattro mesi dopo, nella primavera del 2018, giocando i suoi ultimi tornei tra Turchia, Israele e Uganda. “Che rimane il posto peggiore. Le righe sono segnate con il gesso e per l'arbitro è impossibile capire se una palla è buona. Le piazzole sono distrutte, l'aria è inquinata dai gas di scarico, è umido e caldo. Non credo che ci tornerei”. Nel libro racconta di aver imparato a nascondere lo spazzolino da denti nella stanza d'hotel, perché c'era il rischio che lo staff lo usasse per pulire il bagno. “Per la verità ho sentito questa storia da un altro giocatore, non bisogna prendere sul serio tutto quello che c'è scritto sul libro”.

Il ricordo più amaro, tuttavia, non sono le difficili condizioni di vita a Kampala, ma la cattiva sensazione vissuta da “alternate”. Era la sua categoria, quei giocatori senza classifica mondiale che si recano nella sede di un torneo con la speranza di poterlo giocare. “È molto frustrante. È pieno di aspiranti tennisti che sperano di entrare nelle qualificazioni e implorano una wild card che raramente arriva, perché gli organizzatori privilegiano i giocatori del posto. Io stesso ho trascorso un mese in un Paese ma spesso non entravo nei tabelloni. Ero sempre di cattivo umore perché non facevo vacanza, ma allo stesso tempo non potevo giocare”. Emozioni che ha potuto raccontare nel suo Lucky Loser, perché lui – a differenza degli altri – ammette di essere più bravo a scrivere che a giocare a tennis. “Però il tennis può essere una splendida scuola di vita: ci vogliono dedizione, coraggio e spirito combattivo”.

Sul piano strettamente sportivo, l'avventura è andata male. “Però non sono deluso: grazie a questa esperienza ho fatto pace col tennis, perché ho chiuso un cerchio dopo che avevo smesso di giocare a 17 anni”. Ne è venuto fuori un libro che su Amazon ha raccolto 239 recensioni, quasi tutte positive, segno che è stato un buon successo editoriale. Oggi – tra un impegno e l'altro – Felix Hutt gioca un paio di volte a settimana e si diletta con le gare a squadre. Parafrasando un coro da stadio, si potrebbe dire che il tennis è una malattia che non va più via. La vicenda di Felix Hutt lascia un insegnamento e una riflessione. Il primo è che quelli come Corrado Erba vanno sempre ascoltati: l'aneddoto è lì, dietro l'angolo. In fondo è stato lui a farci sapere che, durante il Roland Garros, Serena Williams era in Italia e ha pranzato nell'improbabile località di Berceto. La seconda è amarognola: difficilmente potrebbe esserci un Felix Hutt italiano, anche se in passato qualcuno aveva pensato di fare qualcosa di simile, sia pure con modalità meno dispendiose. In Germania, ahinoi, i giornalisti sono trattati molto meglio. Beati loro.