“Dopo 5 minuti di tennis mi ero già stufato...”

JANNIK SINNER

29 ottobre 2021

Riccardo Bisti

Jannik Sinner racconta la prima volta in cui ha preso una racchetta in mano. Era già un perfezionista e si era rapidamente scocciato, ma per fortuna ha cambiato idea. L'altoatesino non crede troppo al concetto di "talento", mentre si fida della qualità del lavoro. Estremizza un po', ma in fondo cosa importa?

Ogni anno, l'ottobre del tennis accende la lotta agli ultimi posti per le ATP Finals. È tempo di calcoli, incroci, situazioni. Ma il 2021 è speciale: vuoi perché si gioca a Torino, vuoi perché un azzurro è pienamente coinvolto nella bagarre. E si tratta di colui che, a suon di risultati, sembra essere il nostro miglior prospetto. Anche più di Matteo Berrettini, che pure è (meritatamente) l'attuale numero 1 d'Italia. Però l'età e i margini di miglioramento fanno pensare che Jannik Sinner abbia tutto per raggiungere vette mai toccate nella storia del nostro tennis. L'attenzione su di lui è sempre più grande, specie nelle ultime settimane, in cui sul cemento indoor non riesce a perdere... neanche un set. Dopo i successi a Sofia e Anversa, a Vienna si è decisamente alzata l'asticella. Il torneo ha un grande campo di partecipazione, ma Jannik è già nei quarti dopo i facili successi su Reilly Opelka e Dennis Novak.

Stasera pesca Casper Ruud in un incontro che ha il sapore di spareggio per il Masters, anche se ci sono ancora i tantissimi punti in palio a Bercy. Ma Sinner è favorito, non solo per i bookmakers. In questi giorni è uscita un'intervista pubblicata su Youtube, in cui l'altoatesino si è raccontato, dall'infanzia fino a oggi. Sinner ha ricordato il suo esordio con il tennis. “Era inverno e mio padre mi portò sul campo da tennis. Avevo una racchettina, ma non riuscivo neanche ad alzarla perché ero molto magro. Comunque sono riuscito a colpire la palla, anche abbastanza bene per essere la prima volta. Però dopo 5 minuti non avevo più voglia, perché se qualcosa non mi riesce subito mi faccio prendere dallo stress...”. In quel momento, l'Italia del tennis ha rischiato di perderlo. Per fortuna ha scelto di riprendere in mano la racchetta... e il resto è storia.

Jannik Sinner crede molto alla qualità del lavoro, meno alle doti innate

Il punto più interessante è la sua idea su un argomento molto dibattuto: il talento. “Non credo al talento – sostiene Jannik – si possono avere doti migliori, ma talento è una parola molto grossa, non la utilizzerei neanche. Quando sono andato a Bordighera, a 13 anni, ho deciso di fare il tennista e mi sono allenato bene, con la qualità giusta”. Come a dire che chiunque, con la giusta tenacia e la qualità del lavoro, può ottenere grandi risultati. Sinner crede poco al fato e alle mani divine, molto di più alla concretezza del lavoro. Opinione rispettabile, ma la verità sta nel mezzo. È certo che il lavoro è la base per ottenere grandi risultati, ma il talento rende le cose più facili.

La vera magia è quando le due cose si combinano. Roger Federer ha un braccio fatato, ma non sarebbe mai diventato un campione se non si fosse allenato duramente. E un giocatore privo di talento può allenarsi al massimo, con la maggiore dedizione possibile, ma certi obiettivi gli saranno sempre preclusi. In altre parole, certe cose si possono controllare, altre no. Sinner si focalizza sulle prime, ed è un bene: “In chi mi sta vicino cerco fiducia e sincerità – continua – tanto so che al 90% dipende tutto da me. Puoi avere anche il miglior team del mondo, ma poi le cose le devo fare io. Se faccio le cose senza la giusta qualità, non serve a nulla”. Parole sacre: se applicate, possono portare a diventare un ottimo professionista.

Ma per sua (e nostra) fortuna, Sinner ha dalla sua un gran talento. La capacità di accelerare, di spingere da ogni zona del campo. E poi anche un talento atletico e mentale fuori dal comune. Perché talento può voler dire tante cose, e non si limita a quello tecnico. Sinner ha poi ribadito un concetto che tanti anni fa aveva espresso Andrea Gaudenzi, nel suo periodo da giocatore. “Il 90% delle volte non ti senti bene sul campo. Poche volte giochi e puoi dire di stare veramente bene. Spesso hai dolore, hai dormito male, o magari hai dormito storto e ti fa male la spalla... Io ogni tanto soffro di vesciche sotto il piede e fatico a muovermi, ma queste cose vanno messe da parte. Mi metto il cappellino in testa, scendo in campo e in quel momento dimentico tutto.

Se hai problemi fuori dal campo, li devi mettere da parte. Credo che questa sia una delle migliori qualità che uno possa avere”. Parole sante: a fare un campione non è la singola partita perfetta, ma la capacità di vincere quando non si sta troppo bene, cioè ...quasi sempre. Figlio di un cuoco e di una cameriera, che lavorano in un ristorante-rifugio negli ultimi chilometri d'Italia prima del confine con l'Austria, Sinner si fa spesso forza delle sue umili origini, dal piatto di pasta della nonna tra la scuola e le lezioni di sci, e il tempo che impiegava per indossare tuta, casco e scarponi. La sua mentalità nasce da lì, e sarà la sua fortuna. Se poi non crede troppo al talento, in fondo, non ha grossa importanza. Ciò che conta è usarlo in campo, vincere e far sognare una moltitudine di appassionati che non aspetta altro.

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