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NITTO ATP FINALS

ATP Speedy Finals!

Da quando si è spostato a Torino, il Masters è il torneo con la superficie più rapida del circuito. Si vede a occhio nudo, lo dice Alcaraz, lo conferma un algoritmo. È un fatto positivo a metà: i campi veloci sviluppano tennisti d'attacco (e dunque contrasto di stili), ma che senso ha proporli soltanto al Masters, peraltro dopo aver abolito i tappeti sintetici?

Riccardo Bisti
14 novembre 2023

Carlos Alcaraz non ama fare polemiche, ma non è un caso che la sua prima partita alle ATP Finals lo abbia spinto a piccola lamentela. Soft, educata, ma pur sempre una polemica. Motivo: la velocità del campo. “È il più veloce dell'anno – ha detto dopo la sconfitta contro Alexander Zverev – non so perché mettano questo tipo di superficie a fine stagione. Tutti i tornei sul duro che giochiamo durante l'anno sono piuttosto lenti, poi arriviamo al Masters e sono molto veloci. Non dico che si dovrebbe giocare il Masters all'aperto o al coperto, ma non capisco la velocità della superficie. Semplicemente, in tutto l'anno non abbiamo mai trovato condizioni simili”. Gli avevano posto la domanda dopo che il tedesco aveva tirato 16 ace, tenendo a zero sei turni di battuta. Ed è chiaro che il servizio sia stato l'elemento principale nell'esito del match. Torna dunque d'attualità la vecchia lamentela di Rafael Nadal, che per anni ha sostenuto che la sede e le condizioni del Masters dovrebbero essere a rotazione, scegliendo di tanto in tanto anche la terra battuta all'aperto.

È fin troppo facile sostenere che tirasse acqua al suo mulino: se il torneo si fosse giocato sul rosso, anche soltanto in qualche occasione, è chiaro che i suoi risultati sarebbero stati migliori rispetto a quanto abbia ottenuto (due finali, quattro semifinali e quattro eliminazioni nel girone). Sospetti alimentati dalle statistiche: dei suoi 92 titoli, soltanto due sono arrivati sotto un tetto: Madrid 2005 e San Paolo 2013 (quest'ultimo, tra l'altro si giocava sulla terra battuta). Ha poi raggiunto altre cinque finali. Numeri modesti, residuali se paragonati all'immensità della sua carriera. Alcaraz è destinato a incontrare le stesse difficoltà? Difficile a dirsi, anche se il suo tennis sembra più aggressivo e con qualche variazione in più, soprattutto rispetto al primo Rafa. Ma non c'è dubbio che abbia provato disagio nel primo match torinese, e che le sue speranze di arrivare in semifinale si siano ridotte. “Qui a Torino il campo è sempre veloce – ha confermato Zverev – forse l'altura è un fattore. In generale, le condizioni sono molto veloci”.

ASICS ROMA

I tornei più veloci dal 2021 a oggi (*)

1) ATP Finals Torino (cemento indoor)
2) Stoccarda (erba)
3) Vienna (cemento indoor)
4) Halle (erba)
5) Adelaide (cemento)
6) 's-Hertogenbosch (erba)
7) Queen's (erba)
8) Dallas (cemento indoor)
9) Dubai (cemento)
10) Atlanta (cemento)

(*) fonte Ultimate Tennis Statistics, il cui criterio è una formula che comprende ace, punti e game vinti dal giocatore al servizio

Le sensazioni dei giocatori sono sempre utili, ma è corretto accompagnarle da dati oggettivi. Senza scomodare il Court Pace Rating (CPR), utilizzato dall'ITF per classificare le superfici, e il Court Pace Index (CPI), sistema indipendente di Hawk Eye che valuta la velocità di una superficie al termine di ogni torneo, un buon sistema per capire la rapidità di un campo è l'efficacia del servizio. In questo senso, il sito-cult Ultimate Tennis Statistics ha creato un algoritmo  (voce Court Speed Index) per classificare la superficie dei tornei in base a una combinazione tra numero di ace, punti vinti dal giocatore al servizio e game vinti dallo stesso: bene, da quando il Masters si è trasferito a Torino è il campo più veloce del circuito, almeno secondo questi parametri. Nella top-10 ci sono poi quattro tornei su erba (Stoccarda, Halle, 's-Hertogenbosch e Queen's), due indoor (Vienna e Dallas) e tre sul cemento all'aperto (Dubai, Atlanta e Adelaide, anche se il torneo australiano si gioca in una struttura semi-chiusa). L'affermazione di Zverev sull'altitudine ha senso: sebbene Torino non sia una città di montagna (si trova a circa 250 metri sul livello del mare), è certamente più in alto rispetto a Londra. Se infatti utilizziamo gli stessi parametri per gli anni tra il 2009 e il 2020, scopriamo che le ATP Finals erano soltanto il quinto torneo più veloce dell'anno alle spalle di Queen's, Halle, Wimbledon e Marsiglia.

Questo tipo di dati è attendibile in misura direttamente proporzionale al numero di match: le ATP Finals ne ospitano soltanto 15, mentre un torneo a 32 giocatori più del doppio (31), mentre uno Slam arriva a 127. Ed è chiaro che al Masters arrivano tennisti dotati di un ottimo servizio, o perlomeno (per dirla con Andre Agassi) di un ottimo turno di battuta. Se vediamo la percentuale di game vinti al servizio nel 2023, i partecipanti al Masters occupano sette delle prime quattordici posizioni di una classifica guidata – pensate un po' – da Stefanos Tsitsipas (88,72%). L'unico a essere un po' indietro è Holger Rune, che nel 2023 ha vinto il game in appena l'83,13% delle occasioni in cui ha servito (è 22esimo in questa classifica). In altre parole, il basso numero di incontri e la qualità dei giocatori favoriscono dati a favore di un campo particolarmente rapido, ma alle sensazioni numeriche si accompagnano quelle empiriche: osservando i primi match torinesi, si percepisce a occhio nudo come la fase difensiva sia spesso impotente rispetto a quella offensiva. Servizio a parte, quando un giocatore riesce a prendere l'iniziativa (o far muovere l'avversario), raccoglie quasi sempre il punto.

Il Challenger di Ismaning è rimasto uno dei pochissimi a giocarsi su un tappeto sintetico. Questo tipo di superficie è stato abolito nel circuito maggiore dal 2009

La semifinale di Bercy 1993, quando bastarono appena due ore a Ivanisevic ed Edberg per sviluppare un 4-6 7-6 7-6

Non c'è dunque da stupirsi che nel 2021 abbia vinto Alexander Zverev, e lo scorso anno un Djokovic che si è costruito un servizio molto efficace. Ma torniamo al ragionamento di Alcaraz. Ha ragione? A nostro avviso, a metà. Ha torto nel lasciare intendere che la superficie dovrebbe essere più lenta. Essendo classe 2003, è cresciuto in un epoca di forte omologazione dei campi. Non può ricordare gli anni in cui il circuito aveva molti più tornei indoor e c'erano le famigerate superfici in carpet, tappeti sintetici velocissimi, che favorivano oltre misura i grandi battitori. E appena trascorso il trentennale della finale di Parigi Bercy 1993, quando il pubblico francese arrivò a fischiare Goran Ivanisevic, reo di tirare troppi ace nella finale contro Andrei Medvedev (27 in tre set, accompagnati da 32 servizi vincenti). All'epoca si giocava sul Taraflex, nome che evoca ricordi vintage al pari di Supreme o Greenset (peraltro stessa azienda che fornisce l'attuale tappeto del Masters). Questo tipo di superfici sono state abolite nel circuito maggiore nel 2009: l'ATP giustificò la scelta con la necessità di ridurre gli infortuni. In realtà fu una richiesta dei tennisti, desiderosi di avere più o meno le stesse condizioni durante l'anno. La conseguenza è stata una standardizzazione di campi e stili di gioco. Qualcuno si è lamentato, sostenendo che l'assenza di tappeti sintetici abbia impedito lo svilupparsi di giocatori d'attacco.

Tesi che sembrerebbe confermata dal curioso caso del torneo Challenger di Ismaning, uno dei pochissimi rimasti a giocarsi su un tappeto. Lo scorso anno giunse in finale lo sconosciuto Max Hans Rehberg, wild card locale, cresciuto su quei campi e quindi abituato a condizioni ultra-rapide. Per la cronaca, il vincitore Quentin Halys tirò 107 ace in tutta la settimana. E quest'anno Maximilian Marterer non ha mai perso il servizio in tutta la settimana (pur perdendo in finale). Insomma, quanto accade nei Challenger conferma che il carpet potrebbe rendere le condizioni di gioco ancora più veloci di quanto si sia visto a Torino, rendendo poco più che pretestuose le lamentele di Alcaraz. Lo spagnolo ha però ragione su un altro tema: in effetti, le condizioni delle ATP Finals sono troppo diverse rispetto a quelle degli altri tornei. Paradossale, per un evento così importante e con così tanti punti in palio. Ma la soluzione – a nostro avviso – non sarebbe rallentare Torino, bensì di velocizzare i pochi tornei indoor rimasti. Vedremmo qualche scambio in meno (ma Djokovic-Rune sono comunque rimasti in campo più di tre ore), però il tennis ne beneficerebbe sul lungo termine, riproponendo i giocatori d'attacco e sviluppando un contrasto di stili che si è un po' perso nel corso degli anni. Se poi vogliamo giocare le ATP Finals su varie superfici, benissimo. Al netto degli interessi personali, Nadal non aveva torto. Ma non crediamo che accadrà.