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NITTO ATP FINALS

Rublev, un urlo per la pace... e per se stesso

Era il meno atteso, oggi Andrey Rublev è grande protagonista. La vittoria su Medvedev ha evidenziato tracce di un miglioramento tecnico e mentale su cui lavorava da tempo. L'appello alla pace dopo il match può servire a renderlo più popolare. 

Riccardo Bisti
15 novembre 2022

Avesse giocato 40 anni fa, o comunque in epoca pre-social, la popolarità di Andrey Rublev sarebbe stata direttamente proporzionale ai suoi risultati. Invece ha la (s)fortuna di essere un 25enne nel 2022. Probabilmente non sa cosa significhi mettere su un giradischi, né può ricordare il tempo in cui la TV era in bianco e nero e non esistevano i telecomandi. Oggi è tutto rapido, facile, immediato. Ma i criteri per definire la popolarità di uno sportivo sono cambiati. Ai risultati sul campo si affiancano le capacità dell'agente, del social media manager, della voglia di spararla più grossa degli altri. E poi l'aspetto. Il moscovita non eccelle in nulla, e non sorprende che sia arrivato a Torino un po' in sordina, anche se non è il meno seguito sui social dei magnifici otto: con i suoi 362.000 followers su Instagram, è il settimo in questa speciale classifica, davanti al solo Taylor Fritz (280.000). Ma il concetto rimane: Rublev è il sottovalutato delle ATP Finals. Eppure è alla sua terza qualificazione e staziona tra i top-10 da oltre cento settimane. Non solo: quest'anno ha vinto quattro titoli ATP (dodici in tutto) e sta iniziando a farsi vedere anche negli Slam: quarti a Parigi, quarti a New York.

A ben vedere, gli manca l'expoloit. La sua carriera è più solida, per esempio, di un Matteo Berrettini. Però l'italiano ha giocato una finale a Wimbledon e due ulteriori semifinali Slam. Infatti ha il quadruplo dei suoi followers. Ma l'azzurro è molto vendibile, mentre Rublev passa quasi inosservato con quei capelli rossi arruffati e l'aria da wannabe bad boy. Non è cattivo come Kyrgios, non è fuori di testa come Medvedev, non è potente come Thiem o Zverev, mentre ai Djokovic e ai Nadal non si paragona neanche. “Quando sono usciti i gironi del Masters, mi sono domandato che cosa ci facessi...” aveva sussurrato alla vigilia. In effetti Djokovic, Medvedev e Tsitsipas hanno tutti vinto questo torneo. Lui ha raccolto due eliminazioni nel round robin e lo davano per spacciato ancora prima di cominciare. Invece è stato l'eroe del lunedì pomeriggio torinese, con una vittoria un po' epica, un po' insensata, contro il vecchio amico Daniil Medvedev, che lo aveva battuto cinque volte su sei. Lo patisce, si è visto nei sette setpoint bruciati in un primo set-follia. E stava per fare il patatrac anche nel terzo, invece ha trovato la forza di chiudere alla quinta chance, con uno schiaffo al volo al termine di una rissa di 37 colpi.

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«il vero tennis si gioca sulla terra battuta: ci vogliono resistenza, forma fisica e intelligenza tattica. Sulla terra, se fai le cose nel modo giusto di solito vinci. Sull'erba puoi farle e perdere lo stesso perché il tuo avversario serve alla grande e magari trova due risposte vincenti» 
Andrey Rublev

La scelta di un profilo Instagram curato, ma aggiornato con parsimonia, ha "fruttato" soli 362.000 followers ad Andrey Rublev

“Normalmente non avrei mai vinto una partita del genere” ha ammesso dopo la vittoria, soffermandosi sui miglioramenti di tipo mentale. Ne parla da tempo, con semplicità e pragmatismo. “Ognuno ha le sue debolezze – racconta – qualcuno fatica a essere aggressivo, altri a essere bravi in difesa, altri ancora a migliorare il servizio. Io sono tra quelli che fatica con la parte mentale. Sto migliorando, l'ho dimostrato allo Us Open, ma ci vuole tempo. È esattamente lo stesso con il dritto e il rovescio. Se hai un colpo debole, ci vuole tempo per migliorarlo. Lo so perché avevo un brutto rovescio e ci sono voluti anni per migliorarlo, renderlo solido e tirare qualche vincente”. Non sappiamo se il successo contro Medvedev sarà il punto di svolta della sua carriera, anche perché il prossimo incrocio sarà il peggiore possibile: Novak Djokovic. Ma è sicuramente un passaggio nella giusta direzione. “Non puoi pensare di battere i migliori senza volerli affrontare” diceva alla vigilia il ragazzo di Mosca, fuggito in Spagna per darsi una chance alla scuola della fatica.

L'ha trovata in Fernando Vicente, ex top-30 ATP, suo tecnico sin dall'età di 16 anni. Era un pedalatore, un pallettaro, ma ha avuto l'intelligenza di non snaturare la natura bum-bum di Rublev, uno a cui piace picchiare da fondo senza pensare troppo. “Mi piace tutto di lui! - dice Rublev, a cui si illuminano gli occhi quando parla del coach – sa cos'è il vero tennis perché l'ha sperimentato. Capisce subito se sto facendo le cose giuste, mentre diversi allenatori non sono in grado. Poi è umile e divertente, sa sempre rilassare l'ambiente e allontanare la tensione. Fuori dal campo siamo come una famiglia, credo che pochi giocatori possano dire questo del proprio allenatore”. Rublev è cresciuto nel mito di Marat Safin, poi si era innamorato di Rafael Nadal, conosciuto quando aveva diciassette anni e Rafa aveva già vinto nove Roland Garros. Però il suo gioco ricorda di più quello del principino Yevgeny Kafelnikov. Una somiglianza tecnica sublimata dal rovescio, ma le comunanze finiscono qui. “Kaf” era un po' altezzoso, lui sembra un ragazzo di campagna, con sentimenti nobili e semplici.

Denys Molchanov e Andrey Rublev con il trofeo del torneo ATP di Marsiglia

Lo spettacolare match (soprattutto nel finale) tra Andrey Rublev e Daniil Medvedev

Sin da febbraio ha espresso la sua posizione sulla difficile situazione russo-ucraina. Vive a Barcellona e ha una certa libertà d'espressione, ma il suo “Peace Peace Peace all we need” scritto sulla telecamera, dopo il match, ha fatto il giro del mondo. Anche a Dubai aveva utilizzato lo stesso mezzo per chiedere la fine della guerra, senza contare che la settimana prima aveva vinto il doppio al torneo ATP di Marsiglia, in coppia con l'ucraino Denys Molchanov. “Lo conosco da tempo: quando ho iniziato a frequentare i Futures e i Challenger, lui ne faceva parte. C'era un gruppetto di giocatori, io ero il più giovane e mi hanno accolto. Ci siamo allenati spesso insieme e nel 2015 abbiamo vinto un Challenger (a Las Vegas, ndr). Quest'anno è stato speciale, so che per lui significa molto. Abbiamo una grande amicizia perché lo conosco dall'inizio del mio viaggio, e lui – con altri giocatori più grandi – si è preso cura di me. Era una sorta di fratello maggiore”. È un peccato che Rublev non sia così popolare, perché la sua fiaba russo-ucraina avrebbe meritato ben altra risonanza. E c'era anche lui, nel lungo video in cui Daria Kasatkina a fatto coming out, mettendoci il volto per sostenerla in qualcosa di molto difficile. Che poi, a ben vedere, Rublev rispecchia alcuni dei cliché russi: all'inizio è un po' freddo, diffidente, sembra quasi scorbutico, ma poi basta qualche minuto di chiacchierata per farlo aprire. E il più delle volte va a finire che ti offre la cena. Sul piano tecnico sente di avere tre miglioramenti da fare.

1) Variare di più, utilizzando lo slice. “Tanti giocatori non sono aggressivi, ma ti danno palle difficili da attaccare. Questo tipo di colpi mancano al mio tennis”. 2) Presentarsi più spesso a rete. “Spesso ho la palla buona, ma non la sfrutto perché non mi sento a mio agio. Devo rompere questa battiera nella mia testa, sento di poter raccogliere tanti punti in questo modo”. 3) La seconda di servizio, ancora troppo lenta. Non che commetta tanti doppi falli, ma quando la palla scotta si accontenta di una modesta messa in gioco. “Devo dire a me stesso di spingere e basta”. Un occhio molto attento ha notato alcune migliorie nel match contro Medvedev, ma dovrà accentuarle contro Djokovic e Tsitsipas. I precedenti gli danno qualche speranza: è 1-1 con il serbo, 4-5 contro il greco. Chissà che questa settimana non sia quella buona per restituire al tennis un Rublev tutto nuovo, non più primissimo rincalzo ai migliori, ma possibile protagonista laddove – per ora – vince chi ha più followers di lui. Ma su un punto, tuttavia, la sua formazione spagnola è ancora viva: giocherebbe il match della vita sulla terra battuta. “È lì che si gioca il vero tennis: ci vogliono resistenza, forma fisica e intelligenza tattica. Sulla terra, se fai le cose nel modo giusto di solito vinci. Sull'erba puoi farle e perdere lo stesso perché il tuo avversario serve alla grande e magari trova due risposte vincenti. Sulla terra non succede, per questo credo che i risultati sul rosso, in un certo senso, siano più giusti”. Purtroppo per lui, il Masters si gioca altrove. Andrey Rublev proverà a portare questa giustizia anche sul cemento indoor.