The Club: Bola Padel Roma
DAVIS CUP FINALS

Quando il destino dice sì...

Nella strada verso il trionfo ci sono stati alcuni momenti in cui tutto è girato a nostro favore. Non solo i matchpoint di Djokovic-Sinner: ecco le situazioni in cui la Davis avrebbe potuto sfuggirci di mano, e invece si è lentamente consegnata alle mani azzurre. 
Riccardo Bisti
27 novembre 2023

Il nome inciso sull'Insalatiera è l'unica cosa che conta. Tra anni ricorderemo questo, non certo il format o gli avversari battuti. E poi, si sa, il tempo porta a scremare i ricordi e a renderli fin troppo dolci. Per questo, a maggior ragione in un momento così bello, non ha troppo senso ragionare sul valore tecnico del successo in Coppa Davis. È comunque un dato di fatto che gli avversari battuti tra Bologna e Malaga – numeri alla mano – fossero più impegnativi di quelli affrontati da Panatta e company nel 1976. Lungo quell'avventura trovammo soltanto tre avversari compresi tra i primi cinquanta e neanche un top-10: Jaime Fillol (n.24), John Newcombe (n.23) e John Alexander (n.34). Più indietro c'erano Franulovic, Pilic, Taylor e Lloyd. Quest'anno ne abbiamo affrontati cinque, tra cui il numero uno del mondo Novak Djokovic. Certo, all'epoca ogni sfida aveva il suo weekend dedicato e si giocava al meglio dei cinque set. Ma quello del 2023 non è stato un successo banale, anche per le tante difficoltà incontrate lungo il percorso. La seconda vittoria dell'Italia in Coppa Davis è stata un'insieme di tante circostanze in cui fortuna e casualità hanno avuto un ruolo importante.

Una sorta di indennizzo del destino, che ci ha restituito le sfortune accumulate in decenni. Un elenco emotivo delle italiche scalogne ricorda come sei delle sette finali le avessimo giocate in trasferta, le prime due con l'anacronistico sistema del Challenge Round (la squadra campione in carica giocava direttamente la finale). Gli eroi degli anni '70 furono costretti a giocare quattro finali fuori casa. Secondo Panatta, al Foro Italico ne avremmo vinto almeno altre due (contro Australia e Cecoslovacchia). E poi c'è la storia recente: la palla rubata a Gaudenzi durante la semifinale del 1996 a Nantes, nell'ultimo singolare contro Arnaud Boetsch (con Panatta che scrollò il seggiolone del giudice di sedia), la spalla di Gaudenzi a Milano, la beffa di pescare Roger Federer quando abbiamo ritrovato una semifinale. Più in generale, spesso ci era andata male. Quest'anno, magicamente, i pianeti si sono allineati. Lo stellone è tornato a sorriderci. I momenti sono stati parecchi, perché il format attuale concede molto alla casualità: fino al 2018, era molto raro che singoli episodi potessero avere un peso sull'esito finale di un tie. Invece, guardate un po' cosa è successo quest'anno...

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ALLA FASE A GIRONI CON UNA WILD CARD
Il format prevede che quattro delle sedici squadre ammesse alla fase a gironi possano saltare il pernicioso turno di qualificazione: le finaliste in carica e due wild card. Quest'anno gli azzurri hanno saltato la fase preliminare grazie a un invito. Il motivo è semplice: grazie al peso organizzativo dell'Italia (che ha un accordo pluriennale per ospitare un girone a Bologna) ci hanno risparmiato un match potenzialmente scomodo e rischioso, soprattutto per la collocazione in calendario (subito dopo l'Australian Open). Lo sappiamo bene, perché l'anno scorso ci salvammo per un pelo contro la modesta Slovacchia.

UNA QUESTIONE DI CENTIMETRI CONTRO IL CILE
Lo 0-3 contro le riserve del Canada e le polemiche per i casi Sinner e Fognini hanno avvelenato la vigilia del match contro il Cile. Un 2-1 avrebbe potuto non essere sufficiente... e forse neanche il 3-0. Invece c'è andato tutto bene. Arnaldi (all'esordio assoluto) ha superato Garin dopo aver perso nettamente il primo set. Di quel match si ricorda il break decisivo nel terzo set, giunto al termine di un game di 20 punti, alla sesta palla break. Perderlo avrebbe potuto essere fatale. Ma il punto di svolta è arrivato nel secondo singolare, quando Sonego ha fronteggiato quattro matchpoint contro Nicolas Jarry, in un rocambolesco match chiuso 3-6 7-5 6-4. In uno di questi, la sua seconda di servizio ha preso un pezzetto di riga. Col senno di poi, quel punto non è stato decisivo sul piano numerico, ma perderlo avrebbe dato una vigorosa spallata alle nostre ambizioni. E anche il doppio è stato durissimo.

IL POTENZIALE “BISCOTTO” DI CANADA-CILE
Nonostante il 3-0 contro il Cile, gli azzurri hanno approcciato il weekend di Bologna senza essere padroni del proprio destino. Il format del girone all'italiana aveva messo Cile e Canada nella posizione di buttarci fuori. In un intricato groviglio di numeri, calcoli e cavilli regolamentari, i cileni ci avrebbero messo fuori causa se avessero vinto con una particolare combinazione di punti, set e game. Una fastidiosa sensazione di impotenza che è stata lavata via da Alexis Galarneau e dal doppio Galarneau-Pospisil. Grazie alla sportività canadese, abbiamo ripreso in mano il nostro destino: la vittoria contro la modesta Svezia ci ha dato il lasciapassare per Malaga.

La vittoria di Sonego contro Jarry è stata un passaio cruciale

I MATCHPOINT DI DJOKOVIC
Vabbè, è già storia. Dopo il successo di Kecmanovic, ai serbi sarebbe bastato il punto di Djokovic contro Sinner per buttarci fuori. Il numero 1 del mondo aveva contenuto la partenza-sprint di Sinner ed era stato un giocatore migliore nel terzo set, nel quale ha avuto cinque palle break: una sull'1-0 (perdendo un game di 20 punti... proprio come Arnaldi-Garin), una sul 4-3 e poi gli indimenticabili matchpoint sul 5-4. Sul primo, Nole ha sbagliato un comodo rovescio in slice, ma può recriminare sul terzo, nel quale aveva un passante di media difficoltà con Sinner proiettato a rete. La soluzione lungolinea gli avrebbe dato buone chance, invece l'ha tirato addosso all'altoatesino. Un punto che ha ricordato – ma a ruoli invertiti – il setpoint cancellato da Nole nella finale dello Us Open contro Daniil Medvedev, quando il russo gli tirò addosso il passante in una situazione tattica simile (anche se quello di Djokovic era obiettivamente più complicato). Scampato il pericolo, Jannik ha ripreso a essere una macchina e ha sfruttato la sua unica occasione nel game successivo, bruciando il serve and volley di Djokovic sulla seconda palla. Momenti e situazioni di cui ci ricorderemo a lungo.

I PASTICCI DI DJOKOVIC NEL DOPPIO
Anche un 6-3 6-4 può nascondere turning point decisivi. Dopo un primo set in cui Miomir Kecmanovic era parso una statuina e Djokovic era ancora traumatizzato dal singolare, il doppio serbo ha avuto enormi chance per girare la sfida contro Sinner-Sonego. Con gli azzurri avanti 6-3 2-1 e servizio, il match è improvvisamente cambiato. L'Italia ha concesso il suo unico break, poi Sinner si è trovato 0-40 sul 3-2 Serbia. In un modo o nell'altro ha ricucito il game nonostante quattro palle break, in un game di diciotto punti. Nel successivo erano gli azzurri a effettuare lo strappo sul servizio di Kecmanovic: nell'unica palla game per la Serbia, Djokovic ha sbagliato un rovescio da sopra la rete che sarebbe stato facile anche per un terza categoria. Un errore che ha dato il la al break poi risultato decisivo. Come se non bastasse, nell'ultimo game c'è stata una palla break per il 5-5. Come nel singolare, Djokovic si è trovato nella situazione di poter tirare il passante lungolinea. Invece ha tentato un improbabile pallonetto che si è rivelato un morbido assist per lo smash liberatorio di Sinner. Insomma, tutto quello che poteva andar bene.. è andato.

CUORE DI PANNA POPYRIN
Fatte le debite proporzioni, Arnaldi-Popyrin ha ricordato Boetsch-Kulti, iconico match decisivo della finale 1996. Poca qualità, tanta paura ma mille emozioni. Sul punteggio di un set pari, l'australiano è stato generalmente il giocatore migliore nel terzo set. Lo dicono i numeri, con la bellezza di otto palle break spalmate in quattro dei cinque turni di servizio di Arnaldi (e nell'unico in cui non c'è arrivato si era comunque trovato 15-30). Non ne ha trasformata neanche una, a volte per la bravura e il coraggio del sanremese, altre perché non ha avuto lo spunto necessario. Più ci si avvicinava al traguardo, più il braccio di Alexei tremava. Si è salvato sul 3-4, è franato miseramente sul 4-5. Il destino si era compiuto: Arnaldi ha potuto dedicare il successo a una persona cara scomparsa, Volandri ha tirato un sospiro di sollievo. Sapevano tutti che Sinner non avrebbe mai perso contro De Minaur. Sapevano tutti che l'Italia avrebbe vinto la Coppa Davis.