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Break Point, stagione 2: occasione perduta?

6 puntate (non più 10) e scelte discutibili nella narrazione: prime critiche per la seconda stagione della docu-serie Netflix. Era davvero necessario parlare della lotta per la leadership americana? O esaltare la mamma di Holger Rune? Ma, soprattutto, raccontare solo una parte della storia di Zverev?

Riccardo Bisti
9 gennaio 2024

Dodici mesi fa fece un certo scalpore l'uscita di Break Point, docu-serie Netflix il cui scopo era rendere ancora più avvincente (e patinata) la narrazione del tennis professionistico, magari intercettando nuove fasce di pubblico. Il progetto era perfettamente riuscito con Drive to Survive, serie analoga sul mondo della Formula 1. I produttori erano gli stessi, lo scopo era simile. Com'è andata? Non sappiamo se il tennis abbia nuovi fans, e quanti ex profani metteranno la sveglia per seguire l'Australian Open o qualsiasi torneo in giro per il mondo. Sul piano del gradimento, è stato ritenuto poco sopra la sufficienza: il popolare sito Rotten Tomatoes, raccoglitore di recensioni VIP e di spettatori comuni, ha registrato un gradimento dell'81% nelle recensioni “ufficiali” e del 65% sulle valutazioni del pubblico. Leggendole, i pareri sono contrastanti. A chi è entusiasta si affianca chi ha trovato stucchevole la continua spiegazione delle regole basilari del tennis, sottolineando come un generico senso di noia sopraggiunga già dalla seconda delle dieci puntate (furono pubblicate in due blocchi da cinque, le prime a gennaio e le altre a giugno).

Qualcuno dubita che sia stato efficace per attirare nuovi fans, ma ritiene che sia intrigante per i super appassionati. Altri ancora – seguaci di lunga data – parlano di occasione persa e dell'imbarazzante paragone con Drive to Survive. Risultati abbastanza simili sull'altro aggregatore, Metacritic, in cui conferma la tendenza: più indulgenti le recensioni ufficiali, più severe le valutazioni del pubblico. Normale: salvo capolavori, ogni prodotto di intrattenimento si scontra con diverse aspettative e sensibilità. Tuttavia, quanto trapela sulla seconda stagione (che verrà pubblicata tra poche ore, mercoledì 10 gennaio), non sembra troppo positivo. Era stata ufficializzata lo scorso marzo, ma già sul piano numerico risulta più scarna della prima: non più dieci puntate, bensì sei. E chi ha avuto modo di vederle in anteprima non è stato troppo tenero.

«Se i produttori di Break Point non hanno potuto parlare delle accuse a Zverev per motivi legali, forse sarebbe stato uno spunto sufficiente per trovare un altro argomento su cui concentrarsi» 
Jamie Braidwood, Independent

Dalle pagine del Telegraph, Michael Hogan scrive che la seconda stagione non è stata in grado di mantenere la brillantezza della prima. Parla di “auto-indulgenza” (capiremo a cosa allude) e “inutile fissazione” sui giocatori americani, che portano a un'inevitabile “sindrome da seconda stagione”. Nulla da dire sulla qualità tecnica della produzione: le immagini sono bellissime, inedite (è questo il surplus: viene offerta una prospettiva diversa rispetto a quelle a cui siamo abituati), c'è un costante utilizzo delle scene al rallentatore e di accompagnamento musicale che mira a creare un senso di epica. Tuttavia, le storie raccontate sembrano deragliare da quello che è l'obiettivo principale: la vicenda tennistica. Si parte parlando della Maledizione di Netflix, ovvero le brutte sconfitte o gli infortuni che hanno colpito alcuni protagonisti della prima stagione. La mancata disponibilità degli “anziani” (Djokovic sta raccogliendo materiale per un documentario autonomo: ne parla da anni ma non è ancora uscito) ha spinto i produttori ad andare sui giovani. C'è un episodio su Holger Rune, da cui emerge che mamma Aneke è ben più carismatica del figlio.

Notizia non certo sconvolgente per i conoscitori del tennis, ma quanto è interessante per lo spettatore occasionale? C'è poi un'intera puntata sulla battaglia per diventare numero 1 americano. Può essere interessante per gli statunitensi, ma per il resto del mondo? Gli Yankees non vincono uno Slam al maschile da 20 anni, nessuno degli attuali è un top-10 fisso e – infatti – nessuno di loro si è qualificato per le ATP Finals. Il campanilismo americano raggiunge il picco quando si parla delle speranze casalinghe per lo Us Open, anche se nella fattispecie l'avventura di Ben Shelton ha dato una mano alla narrazione. C'è poi una puntata in cui Jessica Pegula e Maria Sakkari si lamentano della pioggia a Wimbledon. Secondo il Telegraph, le puntate più interessanti riguardano Aryna Sabalenka e Alexander Zverev. La prima viene accompagnata nel suo successo in Australia, in cui ha superato per la prima volta lo scoglio delle semifinali Slam (prima di allora ne aveva giocate e perse tre). Il racconto è ancora più emozionante perché il successo sarebbe poi stato dedicato al padre scomparso.

Alexander Zverev è protagonista della puntata "Unifinished Business"

Un recap della prima stagione di Break Point: in queste ore uscirà la seconda

Intriga la puntata di 46 minuti su Alexander Zverev anche se Jamie Braidwood, sull'Independent, l'ha criticata con una certa decisione. Intanto perché il trionfo allo Us Open di Coco Gauff ha preso soltanto 20 minuti, e quello di Carlos Alcaraz a Wimbledon ancora meno, poi per le scelte editoriali che hanno totalmente ignorato le vicissitudini extra-tennis del tedesco. Ne abbiamo ampiamente parlato: prima Olga Sharypova e poi Brenda Patea (quest'ultima si è poi spinta a una denuncia formale) lo hanno accusato di vari tipi di molestie e abusi. Braidwood ipotizza che tali argomenti potrebbero essere risultati off-limits per ragioni legali: “Ok, ma allora sarebbe stato uno spunto sufficiente per trovare un altro argomento”. Invece c'è una puntata in cui Zverev esce benissimo (il Telegraph sostiene che ci si trova a fare il tifo per lui, così come per la Sabalenka). L'episodio si intitola Unfinished Business e racconta il suo rientro a ottimi livelli dopo il gravissimo infortunio del giugno 2022, quando si è rotto tre legamenti della caviglia durante la semifinale del Roland Garros.

“Un giorno puoi giocare sul Centrale di Wimbledon e quello dopo la tua carriera può essere finita” dice il fratello Mischa in un estratto ricavato dal trailer ufficiale. La puntata fa trapelare un'immagine candida di Zverev: c'è tanto spazio per l'attuale fidanzata Sophia Thomalla, lo si vede ospite a un evento presso una gioielleria di Monte-Carlo, e poi lo si sente parlare della sua fondazione per aiutare tutte le persone vittime di diabete (da cui lui stesso è colpito). Il sospetto di è che Zverev abbia dato totale accesso di sé alle telecamere (condizione necessaria per realizzare un buon prodotto) perchè forse aveva più ragioni di altri per essere così disponibile e collaborativo. Braidwood critica, ancora una volta, il fatto che sia stata narrata soltanto una parte della storia. Paradossale, visto che il tema ricorrente dell'intera stagione è che le telecamere trascorrano troppo tempo nel posto sbagliato. Anche quando è così, la narrazione può essere addomesticata. E torna in menta la frase-sentenza di Stuart Fraser: commentando per il Times la prima stagione, definì Break Point: “Un progetto di ripulitura delle pubbliche relazioni”. Forse non aveva tutti i torti.