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LA STORIA

Il tennista che querelava i giornali

La curiosa vicenda del britannico Robert Dee, ex n.1466 ATP. La sua serie di 54 sconfitte di fila scatenò l'interesse di siti e giornali, i quali lo definirono “peggior professionista al mondo”. Lui fece partire decine di citazioni in giudizio, ottenendo rettifiche e risarcimenti. Fino a quando l'Alta Corte britannica...

Riccardo Bisti
19 aprile 2022

La storia è interessante, ma è ancora più curioso il suo epilogo. Robert Dee, classe 1987, è stato un professionista nei primi anni 2000: non ha ottenuto risultati di rilievo, anzi, ha vinto 4 partite in 67 tornei. La prima vittoria è giunta dopo 54 sconfitte di fila. Il 19 aprile 2008, esattamente quattordici anni fa, batté l'americano Arzhang Derakshani nelle qualificazioni di un torneo ITF a Reus, in Spagna. La vicenda attirò l'interesse di vari media, anche piuttosto importanti, che lo definirono the worst professional tennis player in the world. La sua striscia negativa aveva eguagliato quella del guatemalteco Diego Beltranena, che aveva fatto altrettanto tra il 1997 e il 2005. Ma Beltranena aveva vinto un set lungo la serie, mentre Dee ne aveva persi 108 di fila. Il risultato diede inattesa popolarità al britannico, ma quegli articoli sono finiti nelle mani di avvocati, tra querele e risarcimenti, fino ad approdare persino all'Alta Corte britannica. Ma andiamo con ordine. Robert Dee è nato a Bexley, nel Kent, il 18 gennaio 1987. Coetaneo di Andy Murray (e anche di Novak Djokovic) ha iniziato a giocare a 7 anni, ma i genitori (papà Alan era amministratore delegato di una società di logistica) gli hanno consigliato di proseguire gli studi prima di intraprendere l'attività da tennista. Come scrive nella sua biografia sul suo sito personale, a 16 anni ha abbandonato la scuola per provarci seriamente con il tennis. Sapeva che iniziando tardi avrebbe avuto bisogno di tempo, ma ipotizzava di diventare un buon giocatore intorno ai 23-24 anni. E così si è spostato a Bradenton, in Florida, presso la mitica IMG Academy (che all'epoca era ancora gestita in prima persona da Nick Bollettieri).

Fedele alla sua fama, il coach americano lo ha sottoposto a un regime militaresco. Gli allenamenti iniziavano alle 4.45 del mattino, ben prima che sorgesse il sole, poi il resto della giornata era scandito da lavoro sul campo e in palestra. “Nick mi ha dato autostima e professionalità”. Quando aveva 18 anni, ha ottenuto una wild card per il Challenger di Città del Messico. Allora il ranking funzionava in modo diverso: bastava partecipare a un qualsiasi tabellone principale per ottenere un punto ATP e dunque entrare in classifica mondiale. Perse 6-1 6-0 contro il locale Jaime Arriaga, ma non si diede per vinto. In accordo con i suoi tecnici, ha iniziato a girare per il mondo a caccia di punti. Ha giocato in Iran, Senegal, Ruanda, Botswana, Kenya e Sudan. Scrive di aver vissuto esperienze incredibili: rischio di contrarre malattie, pericoli nella vita quotidiana, alberghi senza finestre e cibo che si mangia soltanto se ci ha veramente tanta fame. Dopo un anno si è trasferito in Spagna, più precisamente a La Manga, luogo frequentato dai suoi genitori. Lì ebbe la possibilità di allenarsi presso l'Accademia Costa Este a Los Alcacares, non troppo distante da La Manga. “Dovevo restarci una settimana, mi ci sono fermato per quattro anni” ha scritto Dee. A questo punto arriva un passaggio chiave della sua descrizione: “Molti giocatori dotati di classifica mondiale giocano i tornei organizzati dalla RFET (la federazione spagnola) perché il montepremi è buono, la competizione è forte e il livello è elevato. Anche Rafael Nadal ha iniziato in questo circuito”.

«I fatti incontestabilmente veri sono che il ricorrente ha perso 54 partite di fila in due set nei suoi primi tre anni nei tornei ITF / ATP validi per la classifica mondiale, e che questa è la peggiore serie mai realizzata»
Giudice Justice Sharp
ASICS ROMA

Il Daily Telegraph informa di aver vinto la causa contro Dee, e che il termine utilizzato nel 2008 era legittimo

Non avrebbe mai pensato di diventare famoso a 21 anni, a maggior ragione per un record di sconfitte, ma ricorda con affetto il sostegno avuto da diverse persone (compreso Roger Federer). Il suo ultimo match risale al 2010: archiviato il tennis professionistico è tornato a Londra, ha completato gli studi e ha iniziato a lavorare nel settore della finanza. La storia sarebbe finita qui: curiosa, ma nemmeno troppo originale. La sua carriera è durata cinque anni e può essere etichettata come quella di chi ci ha provato, ma non è riuscito ad emergere. In Italia abbiamo avuto il caso ben più suggestivo di Enrico Becuzzi (che di partite ne ha giocate 309, soltanto in singolare). Ma se un paio d'anni fa il toscano aveva digerito – sia pure a fatica – un'improvviso ritorno di popolarità, con decine di articoli dai contenuti inesatti ed errori grossolani, a suo tempo Dee non la prese bene. La vittoria nelle qualificazioni di Reus scatenò un vivo interesse dei media, che sottolinearono la sua lunga striscia di sconfitte e utilizzarono la definizione di peggior professionista al mondo. Dee non gradì, anche perché nei dodici mesi precedenti aveva vinto una ventina di partite nei circuiti interni spagnoli, che possiamo paragonare ai nostri tornei Open. E allora ha querelato giornali e siti che avevano raccontato la sua storia, chiedendo rettifiche, scuse e risarcimenti.

A suo dire, il modo in cui era stato etichettato avrebbe potuto precludergli un futuro nel mondo del tennis. Mentre proseguiva l'attività nel circuito ITF (laddove avrebbe vinto altre tre partite: ancora una nel 2008, un'altra nel 2009 e l'ultima nel 2010) raccoglieva una vittoria dopo l'altra con siti e giornali. E sul sito personale pubblicava scuse e rettifiche. Oltre una trentina, da testate di fama internazionale: l'agenzia Reuters, poi Daily Mail, Sun, Mirror, Independent, Guardian, ABC, ESPN Tennis, Boston Globe e altri ancora. Persino il colosso BBC gli ha chiesto scusa: Dee ha pubblicato una lettera del suo avvocato, in cui lo informava che la BBC aveva accettato di versargli un risarcimento di 12.500 sterline (più spese legali per 28.000). Ma se decine di testate si erano scusate, il Daily Telegraph non c'è stato. Convinti di non averlo diffamato, e nonostante il rischio di spese legali molto elevate, hanno portato la questione all'Alta Corte britannica... e hanno avuto ragione. E così, in data 27 aprile 2010, il giornale britannico ha pubblicato un articolo intitolato “World's worst” tennis player loses again in cui hanno raccontato la loro versione della storia, sintetizzando una sentenza di ben 124 punti, spalmati su 33 pagine, in cui viene stabilito che il Telegraph non aveva diffamato, e che le prove fornite dal giornale erano sufficienti a giustificare il modo in cui lo avevano definito.

Lo scorso anno, una TV francese ha realizzato unbreve servizio sulla storia di Robert Dee

Questo tweet del 2020 suggerisce che Dee ha vinto tutte le cause. Non è andata proprio così

L'articolo di Stephen Adams dice: “Dee non aveva previsto che il Daily Telegraph si fosse rifiutato di fare marcia indietro, nonostante il rischio che un processo per diffamazione potesse costare al giornale 500.000 sterline di sole spese”. Nella versione cartacea del 23 aprile 2008, il Telegraph aveva raccontato la sua storia con un breve richiamo in prima pagina. La citazione in giudizio sosteneva che il pezzo lo avesse ridicolizzato, danneggiando le sue possibilità di lavorare in futuro nel mondo del tennis. La sentenza della giudice Justice Sharp è piuttosto complessa: tra tecnicismi di vario genere (si è discusso sul fatto che il richiamo in prima pagina dovesse essere o meno considerato un tutt'uno con l'articolo all'interno), ha scritto (al punto 69): “I fatti incontestabilmente veri sono che il ricorrente ha perso 54 partite di fila in due set nei suoi primi tre anni nei tornei ITF / ATP validi per la classifica mondiale, e che questa è la peggiore serie mai realizzata”. A suo dire, non c'era alcun obbligo aggiuntivo per dimostrare che Dee fosse “oggettivamente il peggior tennista al mondo” (Punto 70). In merito alle vittorie nel circuito interno spagnolo, pur essendo fatti reali (e riportati dal giornale nell'articolo) “non hanno sminuito il fatto che detiene il record di sconfitte consecutive in base al sistema della classifica mondiale ufficiale” (Punto 73). Tra l'altro, in sede di giudizio, si sono avvalsi della testimonianza di persone piuttosto note nel mondo del tennis, compreso Boris Becker (oltre a lui, l'ex presidente ATP Chris Kermode, il commentatore Barry Cowan e l'ex giocatore John Lloyd, ex marito di Chris Evert). La loro opinione era chiara: quando si parla di circuito internazionale ci si riferisce esclusivamente ai tornei sotto l'egida ATP e ITF, quelli validi per la classifica mondiale. I tornei della federtennis spagnola non rientrano in questa categoria.

La sentenza è arrivata circa un mese dopo l'ultima partita giocata da Dee nel circuito internazionale, una sconfitta per 6-3 6-2 contro Juan Pablo De Paiz Ferrer nelle qualificazioni del Futures portoghese di Albufeira. La sentenza ha avuto una certa risonanza, non solo nel mondo del tennis. Nel suo articolo, il Telegraph ha sottolineato come spesso i giornali siano tenuti in ostaggio da querele che partono da avvocati che promettono di lavorare sul base del principio “nessuna vittoria, nessun compenso”, accordi che sono definiti di commissione condizionale (in un successivo memorandum, Alan Dee, padre di Robert, disse che la loro azionale legale era solo parzialmente finanziata con una accordo sul compenso condizionale del 50%). Lo stesso articolo menziona la testimonianza dell'avvocato dell'agenzia Reuters: a suo dire, accettarono l'accordo perché i costi processuali per un caso di diffamazione poco importante avrebbero potuto superare il milione di sterline, invece pagarono 250.000 pounds per le spese di Dee e 31.000 per le proprie. La sentenza ha avuto anche critiche: secondo qualcuno, la vittoria del Telegraph ha offerto ai giornali la possibilità di sparare titoli fuovianti ed esagerati, buoni per vendere copie e ottenere click. Vero, e la successiva diffusione dei social media ha alimentato questo cattivo modo di fare giornalismo. La verità sta nel mezzo: spesso i giornali espongono le notizie in modo poco corretto per raggiungere l'obiettivo della vendita e dei click, ma allo stesso tempo la diffamazione – per essere raggiunta – deve avere determinati requisiti. Secondo l'Alta Corte britannica, l'articolo del Telegraph non era diffamatorio nei confronti di Robert Dee. Così è stato deciso, l'udienza è tolta.