È morto Gunther Parche, l'uomo che aveva accoltellato Monica Seles

ATTUALITÀ

23 aprile 2023

Riccardo Bisti

Otto mesi dopo il fatto, si apprende della morte di colui nel 1993 cambiò la storia del tennis, accoltellando Monica Seles durante il torneo di Amburgo. Voleva permettere alla Graf di tornare a dominare. Se la cavò con due anni di libertà vigilata. Aveva trascorso gli ultimi 14 anni in una casa di cura.

Mancano pochi giorni al trentennale di uno degli episodi più tristi nella storia del tennis: l'accoltellamento a Monica Seles durante il torneo di Amburgo. Una vicenda che ha segnato un prima e un dopo nel nostro sport (da allora le misure di sicurezza sono cresciute a dismisura), oltre a rovinare la carriera della serba. A compiere il folle gesto fu Gunther Parche, un operaio rimasto senza lavoro, fanatico di Steffi Graf, il cui progetto (drammaticamente riuscito) era mettere fuori causa la principale avversaria della tedesca. In queste ore si è appreso che Parche è morto, addirittura lo scorso agosto. Aveva 68 anni e ha trascorso l'ultima parte della sua vita presso una casa di cura a Nordhausen, in Turingia.

Secondo la stampa tedesca, ha trascorso a letto le ultime quattro settimane della sua vita. Con la salute ormai compromessa, dopo un lungo periodo di cure palliative, si è spento nel sonno. Durante il processo sostenne che l'accoltellamento era un modo per ferire la Seles “in modo sufficiente da non farla giocare a tennis per molto tempo”. La Seles non riportò gravi lesioni per puro caso: poiché si era piegata per prendere una bottiglia d'acqua, il coltello (lungo 23 centimetri) penetrò soltanto di due centimetri nella sua schiena. Ben diverso l'impatto psicologico, al punto che tornò a giocare (visibilmente appesantita) oltre due anni dopo.

Gunther Parche immobilizzato dopo aver colpito Monica Seles

ASICS ROMA

Il processo lo condannò a due anni di liberta vigilata per il reato di aggressione aggravata: alla fine rimase in carcere soltanto cinque mesi, il periodo tra l'aggressione e la condanna, emessa il 13 ottobre 1993. Il giudice aveva creduto alla testimonianza di uno psichiatra, che ne aveva certificato l'incapacità di intendere e di volere, oltre a tenere conto della sua piena confessione e di una manifestazione di rimorso. La Seles non partecipò al processo, ma inviò una lettera che fu letta durante l'udienza: “Voglio solo una giustizia equa. Questo attacco ha danneggiato inesorabilmente la mia vita e ha bloccato la mia carriera. Non è riuscito nell'intento di uccidermi, ma ha distrutto la mia vita”.

Il processo di appello confermò la sentenza di primo grado, tenendo in considerazione anche il rifiuto della Seles a testimoniare. Ci furono furibonde polemiche per una sentenza definita fin troppo morbida. “Se fosse successo alla Graf gli avrebbero dato l'ergastolo!” esclamò Martina Navratilova. Non si sa molto della sua vita dopo il ritorno in libertà: pare che abbia svolto lavori saltuari nel mondo dell'edilizia, compresa la pavimentazione di strade. Di salute precaria, si dice che abbia subito diversi ictus. Presso la casa di cura aveva condotto un'esistenza tranquilla, partecipando alle varie attività proposte (cinema, lettura dei giornali) e soltanto la sorella Ina lo andava a trovare con regolarità.