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LA STORIA

La scommessa cinese del Chino: "Meglio di Alcaraz"

Tenetevi forte: Marcelo Rios fa il coach. il “Chino” ha scelto... un cinese, il promettente Juncheng  “Jerry” Shang. Per ora i due sono in prova, ma al primo torneo dopo gli allenamenti con Rios è già in semifinale in un Challenger. “Nessuno mi aveva preso così. I suoi colpi sono migliori di quelli di Alcaraz”

Riccardo Bisti
6 agosto 2022

Adesso dovrà mantenere la promessa. “Caro Jerry, se vai in semifinale vengo a vederti”. Detto, fatto. Impegnato al Challenger di Lexington, sobborgo di New York, il giovanissimo Juncheng Shang (classe 2005!) ha colto la prima semifinale in carriera in un torneo di categoria. Curiosamente, arriva dopo il primo stint di allenamenti con... Marcelo Rios. Avete letto bene.
Ok, vi diamo un attimo per riprendervi.
Proprio lui, il folle “Chino”, il giocatore più maleducato e indisciplinato dell'Era Open, è a un passo dal diventare coach del giovanissimo cinese, ex n.1 junior, alla prima vera stagione da professionista. I due si sono allenati insieme dopo un ammiccamento iniziato un mese fa. Sei giorni a tutta birra, dal 22 al 27 luglio, in cui Rios è entrato a gamba tesa nel mondo del cinese. Tra i due c'è un abisso culturale, eppure Jerry (a ogni cinese viene assegnato un nome occidentale, questo è il suo) stravede per l'ex numero 1 del mondo e lo ricorda anche un po' sul piano tecnico. Non ha mai avuto un coach a tempo pieno (adesso gli hanno dato l'argentino Martin Alund): allenandosi alla IMG Academy gli era capitato di vederlo, avvicinarlo... Ma il contatto vero e è partito tramite Max Eisenbud, storico manager della Sharapova. Volevano chiudere l'accordo in fretta, ma Rios è un osso duro. Ha coinvolto il suo manager Jeff Schwartz e adesso sono in corso trattative, però l'avventura lo esalta. D'altra parte, la suggestione è assicurata: il “Chino” per un... chino.

C'è un'enorme differenza tra i due, per quanto il tennis sia una lingua franca in cui si possono trovare inattesi punti d'incontro. “Non sono mica come Paul Capdeville, che si propone come coach su Instagram – aveva detto Rios – e senza nulla togliere a Massu, lui ha iniziato a lavorare con un giocatore già formato. L'avventura con un diciassettenne, numero 350 del mondo, mi entusiasma. Mi piacerebbe fare come Juan Carlos Ferrero con Alcaraz”. Gli accordi preliminari sono andati bene, e i sei giorni di prova lo hanno ulteriormente ingolosito. Rios non le manda a dire, ma ha trovato l'interlocutore perfetto nel giovane cinese, che si era già fatto notare lo scorso marzo, qualificandosi a Indian Wells. Ma le vittorie contro Kukushkin e Safiullin (n.1 del tabellone) fanno pensare che Rios abbia toccato i tasti giusti e – chissà... - forse ha le stimmate del coach. Non l'avremmo mai detto, dopo aver visto la sua carriera da giocatore e anche alcuni suoi atteggiamenti dopo il ritiro. Ma nella vita si può sempre cambiare, e chissà che i lineamenti gentili di Shang non possano fare il miracolo. O meglio, che arrivi un miracolo reciproco. Secondo Rios, il cinese è già pronto tecnicamente mentre è ancora acerbo sul piano tattico. Mentre intercorre lo scambio di mail tra i manager per trovare un accordo, i due si sono ritrovati alla IMG Academy: tre ore di tennis al mattino, preparazione atletica al pomeriggio e una sentenza. “Non mi stupirei se a breve arrivasse il suo momento – ha detto Rios, che è diventato un chiacchierone dopo aver bofonchiato monosillabi per tutta la carriera – e se chiudesse l'anno intorno al numero 150 ATP”.

«È molto educato, chiede scusa anche quando la sua palla va in rete. Gli ho detto che deve metterci personalità, che bisogna anche saper tirare addosso all'avversario»
Marcelo Rios
ASICS ROMA

Shang racconta la sua vita nel tour. A breve, nella sua routine potrebbe inserirsi l'ingombrante figura di Marcelo Rios

Il gran torneo di Shang arriva subito dopo i recenti successi di Yibing Wu. A quanto pare, lo stimolo della competizione interna funziona anche in Cina. Il carisma di Rios ha già fatto centro: Shang pensava di giocare cinque Challenger di fila, lui ha detto di giocarne quattro, con una settimana di pausa in mezzo. “E verrò a seguirti negli ultimi due”. Lo farà gratis, con il solo rimborso spese. “Il suo entourage è grato che non mi faccia pagare, si vede che non sono abituati a trovare qualcuno che non chiede subito soldi. Io ho risposto che se a Lexington va in semifinale, lo vado a vedere”. Vedremo se sarà di parola e stasera comparirà in tribuna per il match contro Aleksandar Kovacevic, recente finalista a Indianapolis (battuto proprio da Wu). In sei giorni di allenamento, Rios ha effettuato tre cambiamenti: 1) Ha provato a sporcare il dritto, colpo potente e piatto. “Un po' come il mio, ma deve cercare di metterci più rotazione, come Nadal. Ovviamente non sempre”. 2) La risposta al servizio. Secondo il cileno, Shang risponde sempre allo stesso modo, scappando all'indietro. Quando risponde da sinistra gli ha detto di fare un passo in avanti e cercare il rovescio dell'avversario. “Lo ha capito in un giorno e lo fa benissimo”.

3) Cambio nel lancio di palla. Shang la lanciava troppo in basso, adesso il punto d'impatto è molto più in alto. “E poi gli ho detto che un break non si può definire tale fino a quando non hai tenuto il turno di battuta successivo”. A quanto pare, Rios ha letto “Winning Ugly” di Brad Gilbert, in cui è espresso con chiarezza questo concetto. Le cose vanno alla grande: in allenamento ha battuto Daniel Evans e ha rifilato un doppio 6-1 a Gabriel Debru, numero 1 junior. “Sto cercando di farlo allenare con la stessa mentalità che avrebbe in partita. Preferisco 20 minuti di qualità che quattro ore a tirare pallate. Lui vorrebbe fare tanta quantità, ma devo cambiare la sua mentalità – dice Rios – di certo capisce tutto al volo. Penso che sia una questione culturale. È molto educato, chiede scusa anche quando la sua palla va in rete. Gli ho detto che deve metterci personalità, che bisogna anche saper tirare addosso all'avversario. E gli ho detto che se mollerà una sola partita non mi vedrà più”. Curioso, visto che lui era l'esatto contrario. E di partite ne ha buttate via a decine. “Gli ho detto di essere cattivo, di metterci personalità. Il tennis non è uno sport dove bisogna fare amicizia con l'avversario. Oggi si può giocare fino a 40 anni, quindi ne ha ancora 23 davanti a sè”.

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Marcelo Rios segue un allenamento di Shang insieme all'argentino Martin Alund, coach a tempo pieno del cinese

Lo splendido gesto di Shang al Challenger di Lexington: ha soccorso un raccattapalle in difficoltà

A sentire Rios, sembra che i due si siano presi benissimo. Shang apprezza il suo umorismo un po' crudo, anzi, ha chiesto di comunicare in spagnolo e non in inglese perché vuole imparare la lingua. D'altra parte, suo padre (ex calciatore) aveva giocato proprio in Spagna. “È molto professionale. Mi piace che non risponda al telefono mentre si allena, poi i suoi genitori sono molto rispettosi. Suo padre non scherza, non interviene... non è come Apostolos Tsitsipas. Mi porta l'acqua e i grip. E lo stesso fa la madre. Sono amorevoli”. La partnership incuriosisce, perché si mischiano due culture molto diverse, e Rios porta all'estremo alcune caratteristiche di quella latina. Però sembra prendere sul serio questo compito, forse perché in Shang rivede qualcosa di sé. “Non ero mai stato così colpito da qualcuno – dice – l'avevo visto allenarsi con Shapovalov e aveva già attirato la mia attenzione. Ha 17 anni, mai avuto un coach, mai fatta una preparazione... se viene allenato come si deve, da me o da qualcun altro, ha grandi potenzialità”. Ok, ma quante? Secondo Rios può arrivare tra i top-20 ATP in un paio d'anni, ripercorrendo il percorso di Carlos Alcaraz. Lo spagnolo ricorre un paio di volte nelle parole del “Chino”.

Volendogli credere, Shang è più forte. “Il rovescio di Jerry è migliore, il dritto anche perché è più pesante, e anche il servizio – asserisce – ma Alcaraz oggi è un insieme di cose messe insieme. Ha grandi caratteristiche, poi è fortissimo negli spostamenti come Djokovic. Non mi piace molto perchè abusa della sua facilità nei movimenti”. Rios travolge con il suo entusiasmo. Una carica talmente grande da alimentare qualche dubbio. Il mestiere di coach è molto complesso e richiede qualità che non aveva da giocatore: merita una chance, ma il fiume di parole che vi abbiamo riportato dovrà attraversare la prova dei fatti. E poi Rios non è un mostro di credibilità: qualche mese fa aveva sbandierato la possibilità di giocare qualche Challenger e magari vincerlo, ma non se n'è fatto nulla. A volte sembra quasi che (stra)parli per recuperare il tempo perduto negli anni da giocatore. Però la sua avventura con Shang va seguita con attenzione: può emergere qualcosa di esplosivo. “Gli ho detto di non essere sfacciato come me, ma di tirare fuori la sua personalità”. Vediamo. A partire da oggi. Rios si sarà davvero sobbarcato il viaggio dalla Florida a Lexington? Parlare è facile, agire lo è molto meno.