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Silenzio, parla Murray: “A volte i giocatori sono ipocriti”

Andy Murray vorrebbe un calendario più breve, ma critica i colleghi. “Ok accorciarlo, ma a volte i giocatori sono ipocriti: chiedono più riposo, poi volano in tutto il mondo per giocare esibizioni”. La passione per il Sudamerica e i dubbi sul Super Tour: “Ognuno fa i propri interessi, non sempre è la cosa migliore”.

Riccardo Bisti
26 febbraio 2024

Non è stato all'altezza dei Big Three, al punto che il concetto di Fab Four tennistici è sfumato con il tempo, ma c'è qualcosa in cui Andy Murray non ha nulla da invidiare a Novak Djokovic, Rafael Nadal e Roger Federer: una sfrenata passione per il tennis. L'aveva fatto capire anni fa, quando predisse via X (l'ex Twitter) un futuro da numero 1 a Caroline Garcia. Non tanto per il merito della questione, quanto perché era davanti alla TV a seguire un match femminile del Roland Garros. E poi la sua carriera: arrivato a un passo dal ritiro, con un'anca devastata, si è sottoposto a una delicata operazione che gli ha consentito di restare in attività, sia pure lontanissimo dagli standard a cui era abituato. Se diamo un'occhiata alla carriera di Murray post-intervento (ovvero gli ultimi cinque anni), ha vinto un solo titolo ATP (Anversa 2019) e tre Challenger, mentre dal 2006 al 2017 aveva vinto 45 titoli ATP su 67 finali. Ciò che colpisce – e che certifica la sua sincera passione – è che non sembra particolarmente frustrato. Sa che quei tempi sono andati, eppure continua a giocare con immutata motivazione. Con una moglie, quattro figli, il titolo di baronetto e un conto in banca da urlo, chi glielo fa fare? Perché restare in campo tre ore e mezzo contro Jakub Mensik (18 anni più giovane di lui)?

Le risposte sono da cercare in una profonda motivazione interiore, riassumibile - appunto - nel concetto di “passione”. L'ultimo torneo vinto dallo scozzese nella sua prima carriera è stato l'ATP 500 di Dubai, nel 2017. Sette anni dopo, è di nuovo negli Emirati e oggi esordirà contro Denis Shapovalov, sperando di dare un pizzico di continuità dopo la prima vittoria stagionale, ottenuta a Doha dopo sei sconfitte di fila. Intervistato dal The National prima dell'esordio, ha risposto a una domanda interessante posta dalla giornalista Reem Abullel: cosa farebbe se fosse il commissioner del tennis? Premesso: per quanto auspicabile, l'arrivo di una figura del genere è utopia. Troppe sigle e troppi interessi impediscono la nascita di una struttura guidata da una sola persona che possa decidere per tutti. Con le sue parole, Murray ha lasciato intendere che sarebbe un buon capo. “Probabilmente il calendario” ha detto, senza esitare. “Potessi fare quello che voglio, senza obblighi contrattuali da rispettare, ci sarebbero alcune cose ovvie su cui intervenire”.

«I giocatori dicono che la stagione è troppo lunga, poi volano in tutto il mondo nel periodo di off-season per giocare le esibizioni, ed è una loro scelta.» 
Andy Murray

Murray spingerebbe per una distribuzione più sensata dei Masters 1000, considerando aspetti tecnici, geografici e sociali. Porterebbe un Masters 1000 in Medio Oriente, uno in Sudamerica, e ne organizzerebbe uno sull'erba. Giusto poche ore prima aveva twittato qualcosa del genere sul Sudamerica, spiegando che la passione della gente e l'atmosfera meriterebbero una stagione dedicata, da culminare con un Masters 1000. L'aveva definita opinione impopolare, invece ha raccolto diversi parere positivi, tra cui quelli di Diego Schwartzman (ovvio) e Boris Becker (meno scontato). “Il Sudamerica ha una cattiva reputazione, ma c'è un'atmosfera incredibile. Amano il tennis. I campi non sono dei migliori, forse per la superficie o il periodo dell'anno, ma meritano maggiore considerazione per l'amore e il sostegno che danno al tennis”. Murray non lo dice, ma sa bene che il grosso problema, da quelle parti, è di natura economica. Dopo aver detto che aumenterebbe di una settimana l'estate australiana per dare più tempo ai giocatori per acclimatarsi prima dell'Australian Open (farebbe altrettanto per la stagione su erba, che peraltro ha ottenuto una settimana aggiuntiva da una decina d'anni), ha affrontato con onestà uno dei temi più delicati: la lunghezza del calendario. Come tutti, è d'accordo nel sostenere che dovrebbe esserci una off-season più lunga.

Però ha affrontato, con coraggio, un tema su cui i colleghi tendono a glissare: le esibizioni. “Non so se vorrei ridurle, però penso che a volte i tennisti siano un po' ipocriti. Dicono che la stagione è troppo lunga, poi volano in tutto il mondo nel periodo di off-season per giocare le esibizioni, ed è una loro scelta. Non sono obbligati a giocarle. E non sono obbligati nemmeno a giocare tutti i tornei ATP”. In verità ci sarebbe l'obbligo di partecipare a tutti i Masters 1000, che peraltro è stato nuovamente esteso a tutti dopo che per un decina d'anni gli over 30 con determinati requisiti potevano saltarne alcuni senza penalità (Murray era tra i potenziali beneficiari di una norma abolita a fine 2022). “Ok, saltare alcuni tornei può danneggiare la classifica, però possono comunque farlo – continua Murray – mi piacerebbe una off-season più lunga e non vieterei le esibizioni, però chiederei ai giocatori di essere più attenti quando parlano del calendario e poi giocano tante esibizioni. Adesso ce ne sono anche in mezzo alla stagione”. Andy allude all'UTS di Patrick Mouratoglou, al 6 Kings Slam arabo e – aggiungiamo noi – alla Laver Cup che, pur essendo entrata nel calendario ufficiale, mantiene tutti i crismi di un'esibizione. “Soltanto i giocatori più forti hanno la possibilità di giocare esibizioni molto ricche. Per gli altri non è così, dunque vorrebbero più tornei per salire in classifica e guadagnare più soldi. Bisognerebbe trovare il giusto equilibrio”.

Il difficile inizio di stagione ha fatto retrocedere Andy Murray al numero 67 ATP

L'ultimo titolo della "prima carriera" di Andy Murray è arrivato proprio a Dubai, nel 2017

Sull'ipotetica fusione tra ATP e WTA, lo scozzese sarebbe d'accordo. Scontato, visto che sua madre è sempre stata in prima linea per l'uguaglianza di genere. E lui è l'unico top-player uomo ad aver manifestato sincero interesse per il circuito WTA. “Secondo me la fusione renderebbe il tennis più attraente per TV e sponsor. Penso alle difficoltà di programmazione dei supervisor nei tornei combined. Sono costretti a collocare i match in certe fasce orarie perché una TV trasmette solo il maschile e un'altra il femminile, dunque devono tenerne conto per evitare buchi nel palinsesto. Deve essere molto doloroso”. La sua spinta verso l'unità, dunque, si scontra con la suggestione di un Super Tour che vorrebbe mettere insieme gli Slam e una decina di grandi tornei, i quali creerebbero un circuito d'elite con gli altri tornei ridotti a tappe di passaggio per entrare nel Super Tour. Per inciso, il progetto sta incontrando qualche difficoltà perché gli Slam faticano a impegnarsi per trovare un piano finanziario. Come dovrebbero essere indennizzati i tornei più piccoli? E quale tipo di strategia mediatica ci sarebbe, visto che ogni Slam ha i suoi accordi? Il progetto avrebbe dovuto essere presentato durante le ATP Finals, poi in Australia, mentre adesso si parla di Miami.

Murray guarda tutto questo con sospetto. “Ho paura che tutto questo sia dettato dall'interesse personale piuttosto che dalla voglia di progredire – dice – so che ci sono problemi tra Tennis Australia e l'ATP, così come tra gli Slam e ATP-WTA. Non so come andrà a finire: ognuno fa il proprio interesse e non sempre è la cosa migliore per lo sport. Tutti combattono tra loro, ma sarebbe più facile se tutti davvero lavorassero per il bene comune. Spero che accada, ma è improbabile”. L'ultima sentenza profuma di rassegnazione. “Si parla di queste cose da 30 anni” ha detto al The Athletic una fonte anonima (ma coinvolta nelle discussioni). Trent'anni proprio come il tempo intercorso dallo storico articolo di Sports Illustrated Is Tennis Dying?, in cui – tra le varie cose – si auspicava la figura di un commissioner per ridare forza a uno sport ritenuto in crisi. Sarebbe la soluzione migliore, magari proprio uno come Andy Murray, ma ribadiamo quanto espresso l'anno scorso, proprio quando proprio mamma Judy disse la sua sul tema: il calendario ideale, purtroppo, è un'utopia. Per la sua natura internazionale, e per ragioni storiche, il tennis sarà perennemente costretto all'equilibrismo e alla costante ricerca del... meno peggio.