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IL PROTAGONISTA

Holger Rune, numero 1 o niente

L'enorme ambizione di Holger Rune si è vista – e lo ha aiutato – nella finale di Parigi-Bercy, in cui ha contenuto la strabordante personalità di Novak Djokovic. Da quando Patrick Mouratoglou siede al suo angolo, ha effettuato un impressionante salto di qualità. Ma per lui è soltanto l'inizio. “Non sarò soddisfatto fino a quando non sarò numero 1”. 

Riccardo Bisti
7 novembre 2022

Aveva ragione lui. Anzi, era stato fin troppo prudente. Lasciando perdere la frase sparata senza pensarci quando era poco più che un bambino (“Voglio battere il record di Nadal al Roland Garros”), Holger Rune è sempre stato molto ambizioso. E non è timido nel raccontare i suoi obiettivi. A fine 2019 diceva che gli sarebbe piaciuto entrare tra i top-20 entro tre anni. Dodici mesi fa, dopo aver vinto il Challenger di Bergamo, sosteneva di voler raggiungere i top-20 entro un anno. Ce l'ha fatta: vincendo il Masters 1000 di Parigi-Bercy, al termine di una grande finale contro Novak Djokovic, è piombato addirittura al numero 10 ATP. Premio? I 150.000 dollari riservati all'alternate delle ATP Finals. In caso di forfait, sarà lui a giocare al Pala Alpitour di Torino. “Spero che non sia necessario, perché non auguro infortuni a nessuno – ha detto – ma allo stesso tempo sarebbe fantastico giocare al Masters”. Avrà tutto il tempo, visto che è nato nel 2003 e la sua carriera è appena agli inizi. Che Rune non fosse un bluff si era già capito, in particolare al Roland Garros, laddove si era spinto fino ai quarti e aveva perso un match teso contro Casper Ruud. Poi si era un po' bloccato, ma da quando Patrick Mouratoglou (lasciato libero da Simona Halep, che oggi ha ben altre problematiche) si è aggiunto al suo clan, ha messo il turbo.

Una crescita impressionante, con quattro finali ATP consecutive, 19 vittorie nelle ultime 21 partite e titoli a Stoccolma e Bercy. All'Accor Arena ha fatto qualcosa di inedito, Masters escluso: vincere il torneo battendo cinque top-10. Si sono inchinati Hubert Hurkacz, Andrey Rublev, Carlos Alcaraz, Felix Auger-Aliassime e Novak Djokovic. Senza contare la rocambolesca vittoria al primo turno contro Stan Wawrinka, con polemiche e tre matchpoint annullati. Tanto basterebbe per mettersi sull'attenti, ma il modo in cui ha battuto Djokovic fa pensare. Perso il primo set, si è trovato sotto 0-40 nel primo game del secondo. Quando il serbo aveva vinto il primo parziale in una finale Masters 1000 (31 volte), si era sempre aggiudicato la partita. Non stavolta: con un rovescio fantastico, una grande fase difensiva e una personalità strabordante, il danese ha ricucito il match e si è imposto 3-6 6-3 7-5. L'ultimo game è stato un prodigio di solidità mentale: 17 minuti, sei palle break annullate, il cuore che gli scoppiava in testa (parole sue) e la mente già protesa al tie-break. Invece lo ha saputo evitare.

ASICS ROMA
«Da ragazzino non si distingueva in nulla di particolare. Però aveva una mentalità, una ferrea determinazione, una fiducia in se stesso che mi impressionarono. Ha sempre avuto una mentalità da campione» 
Patrick Mouratoglou

La finale di Parigi Bercy ha detto molto sulle qualità agonistiche di Holger Rune

“È un sogno che diventa realtà, ma ho obiettivi ancora più importanti” ha detto con il trofeo in mano, dopo aver incassato i complimenti del serbo. Non avremo mai la controprova, ma c'è un dato di fatto: da quando Mouratoglou è entrato in pianta stabile nel suo team, le cose sono cambiate. Va detto che lo segue da una vita. Sin da ragazzino frequenta l'accademia di Mou. Qualche anno fa, ebbe a dire: “Quando Patrick fa un salto nel mio campo di allenamento e mi dice qualcosa, lo ascolto con attenzione perché è un grande coach. È sempre molto attento e nota ogni dettaglio. Trova sempre qualcosa che posso fare meglio: sono fiero di far parte del Team Mouratoglou”. Per questo, non sorprende che la partnership sia diventata ancora più importante. Ed è impossible non associare il recente salto di qualità alla presenza del tecnico francese.

“Holger aveva avuto parecchi alti e bassi negli ultimi mesi – ha detto Mouratoglou – dopo un ottimo Roland Garros, aveva perso nove partite di fila in estate ma adesso ha recuperato. Ha trovato alcune cose che lo hanno aiutato: in particolare, ha imparato a controllare le sue emozioni. Grazie a questa qualità ha vinto contro Djokovic, perchè è stato a un passo dal perdere. Dopo le difficoltà iniziali ha mantenuto compostezza e non si è fatto prendere dal panico”. Secondo Mouratoglou, affrontare Djokovic in una grande finale è la sfida più complessa del tennis attuale. “L'unico modo per affrontare un impegno del genere è avere un piano di gioco ben preciso, e poi mantenere il controllo delle emozioni. Tuttavia, non è possibile insegnare come si fa a battere Djokovic: per farlo ci vuole qualcosa di speciale, di extra, e Holger lo possiede”.

Holger Rune festegga con il suo clan: a sinistra c'è lo storico coach Lars Christensen, a destra si riconosce Patrick Mouratoglou

L'impressionante scalata di Holger Rune nel ranking ATP

Il danese ha iniziato a giocare a tennis per imitare la sorella maggiore Alma, ma s è capito rapidamente che il fenomeno in famiglia era lui. E per fortuna adesso si fa chiamare soltanto Holger Rune (che è il cognome della madre Aneke), senza più i ridondanti Vitus Nodskov che comparivano fino all'anno scorso. “La sua capacità mentale fu la prima cosa che mi colpì quando è arrivato in accademia a 14 anni di età – continua Mouratoglou – sul piano tecnico non si distingueva in nulla di particolare. Però aveva una mentalità, una ferrea determinazione, una fiducia in se stesso che mi impressionarono. Ha sempre avuto una mentalità da campione”. Salvo forfait dell'ultim'ora o a torneo in corso, la stagione del danese è terminata. Ma nel 2023 sarà attesissimo, magari già pronto a battagliare con Carlos Alcaraz e tutti gli altri per la leadership stagionale.

Partirà dal torneo ATP di Auckland, per il quale ha firmato qualche settimana fa, poi sarà – inevitabilmente – tra i favoriti all'Australian Open. “Ma ci sono aspetti che deve migliorare – ammonisce Mouratoglou – ho notato alcuni elementi con notevoli margini di miglioramento. Ci lavoreremo durante la pausa invernale. Adesso è numero 10 del mondo, ma non è la sua ambizione. È un bel traguardo, ma Holger vuole molto di più. Non sappiamo se ha espresso il suo miglior tennis. Gioca meglio rispetto al passato, ma può salire ancora. E bisogna rendere normale lo standard che ha espresso a Parigi”. Mouratoglou ha un bel vantaggio: il suo allievo è perfettamente d'accordo con lui. La scorsa primavera, durante il torneo ATP di Monaco di Baviera (poi vinto, primo titolo in carriera), fu molto chiaro: “Non sarò soddisfatto fino a quando non sarò numero 1”. Una specie di sentenza.