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AUSTRALIAN OPEN

Gli altri parlano, Djokovic vince

Novak Djokovic è sempre più leggenda: cancella Medvedev e si aggiudica il suo diciottesimo Slam, il nono a Melbourne. “Avevo uno strappo al muscolo obliquo addominale: le speculazioni hanno fatto male, ma non ho permesso che mi condizionassero”.

Riccardo Bisti
21 febbraio 2021

I fan di Novak Djokovic hanno temuto che il loro idolo facesse la fine di Johan Cruijff nel 1994. Prima della finale di Champions League tra il Milan e il suo Barcellona, il tecnico olandese realizzò un servizio fotografico con la coppa dalle grandi orecchie. Era sicuro di vincere. Vinsero 4-0 i rossoneri, firmando una delle più grandi umiliazioni della storia recente. Qualche impiegato di Head, azienda che fornisce le racchette al serbo da una dozzina d'anni, deve aver commesso un errore con la sua mail: ben prima delle finale, ha inviato a diversi contatti una mail celebrativa del nono Australian Open di Djokovic. Una comunicazione come ce ne sono tante, ma che sarebbe diventata facile oggetto di scherno se Nole avesse perso la finale contro Daniil Medvedev. Oltre a tirare un sospiro di sollievo, l'impiegato potrà dire di essere un (facile) Nostradamus avendo previsto in anticipo l'ennesimo trionfo di Djokovic. (Quasi) come Nadal a Parigi, (più di) Federer a Wimbledon, il serbo ha stabilito una sorta di seconda residenza nell'Arena dedicata a Rod Laver, costruita quando lui era nel grembo di mamma Dijana e inaugurata quando aveva sette mesi.

Battendo 7-5 6-2 6-2 il russo, si è imposto per la nona volta all'Australian Open e ha sbeffeggiato quelli che - a partire dai bookmakers – avevano messo in dubbio la sua superiorità australiana. Pioggia, sole o vento forte: non cambia nulla, Melbourne è il torneo di Djokovic. Questo successo ha un sapore speciale: profuma di rivincita dopo il disastro dello Us Open e la batosta incassata contro Nadal a Parigi. Ne rilancia le ambizioni nella classifica che più gli interessa: quella degli Slam vinti. Federer e Nadal restano a quota 20, lui incalza a due lunghezze di distanza. “Oggi mi godo ancor di più ogni singolo successo – ha detto – più passa il tempo e più sarà difficile continuare a vincere. Non mi sento vecchio, ma realisticamente non è più come dieci anni fa. Dovrò essere bravo a programmarmi bene e avere il picco al momento giusto. Il record di settimane al numero 1 è un sollievo, perché adesso potrò concentrarmi soprattutto sugli Slam. Gli obiettivi cambieranno un po'”.

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"Gli altri possono criticare, poi sta a me decidere se reagire: non ho voluto permettere che tutto questo condizionasse il mio rendimento sul campo. Vincere il torneo è stata la mia risposta" Novak Djokovic
Il trionfo australiano di Djokovic compresso in 9 minuti

Alzi la mano chi lo avrebbe immaginato vincitore soltanto una settimana fa, quando una scivolata sulla scritta “Melbourne” gli ha procurato un fastidio addominale che per poco non lo faceva inciampare in Taylor Fritz. Non ha esitato a parlare di strappo, anche se forse non era così. Per informazioni chiedere a Matteo Berrettini, costretto al forfait per un problema simile. Di sicuro aveva qualcosa, ma le mani fatate dei fisioterapisti (su tutti Ulises Badio, che lavora con lui a tempo pieno da 4 anni) gli hanno restituito la forma ideale. E dopo la semifinale contro Aslan Karatsev aveva chiuso l'argomento, dicendo di non aver provato alcun dolore. Ma la questione infortunio rimane una ferita aperta, tanto da aver occupato buona parte della conferenza stampa finale. Nole ha rivendicato, quasi con orgoglio, la natura del suo problema. “È stato uno strappo muscolare del muscolo obliquo addominale. So che ci sono state molte speculazioni, molti pensavano che non fosse possibile recuperare così in fretta. Ognuno può dire quel che vuole, ma non mi è sembrato giusto. E non è la prima volta. Quel che è successo negli ultimi 9-10 giorni lo vedrete nel documentario che uscirà a fine anno. Abbiamo filmato parecchie cose”.

Sin da quando Andy Roddick lo accusò di fare sceneggiate sul campo (“Ha SARS, aviaria, anthrax, tosse, raffreddore"), il serbo è sensibile all'argomento. “Le critiche fanno male perché anche io sono un essere umano e provo sentimenti. In questi giorni, la cosa più importante è stata focalizzare pensieri ed energie sul recupero, la routine e le prestazioni. È più facile a dirsi che a farsi. Gli altri possono criticare, poi sta a me decidere se reagire: non ho voluto permettere che tutto questo condizionasse il mio rendimento sul campo. Vincere il torneo è stata la mia risposta”. Per Djokovic è il sesto Slam dopo il compimento dei 30 anni, stessa cifra di Rafael Nadal. Con un dettaglio: il serbo è più giovane di un anno. Per rendere l'idea della straordinarietà di questi numeri, una volta scavallati gli enta, Roger Federer ne ha vinti quattro. Lo stesso Federer che tra qualche settimana perderà il record di settimane in vetta alla classifica mondiale, superato proprio da Djokovic. E le classifiche congelate contano fino a un certo punto. Anzi, il blocco-COVID è costato a Djokovic un Wimbledon in cui sarebbe stato il favorito.

L'immagine di Novak Djokovic con il Norman Brookes Trophy è ormai arredo permanente a Melbourne Park

I numeri pre-finale raccontavano di un Medvedev imbattuto da 20 partite. In effetti, il primo set ha offerto quel che ci si attendeva: tensione, qualità, scambi lunghi e senza fiato. Dopo il 3-0 iniziale di Djokovic, i due si sono presi a spallate fino al 5-5, ma poi la partita è improvvisamente cambiata. Nole si è affidato al fondamentale che lo ha fatto grande: la risposta al servizio. Il break in avvio di secondo a favore del russo è stato l'ultimo sussulto di equilibrio. Nei successivi 40 minuti, Djokovic lo ha dominato. Ogni tentativo di Daniil veniva respinto con perdite. Si dice che Nole non abbia un colpo risolutivo, qualcosa che lo distingua. Non è esattamente così: le sue risposte vincenti sono un tratto distintivo di cui non si parla a sufficienza. Ha chiuso il secondo set con una risposta di dritto su una seconda che viaggiava a 180 km/h. Al cambio di campo, Medvedev si è consegnato mentalmente alla sconfitta spaccando la sua racchetta e bofonchiando verso il suo team in triplice lingua: inglese, francese e russo. Il resto è libidine Djokovic, esaltazione per chi lo ama e dura ammissione di superiorità per chi non lo sopporta (e sono parecchi). I fatti sono dalla sua: prima delle finale, aveva respinto l'idea che la sua generazione fosse pronta a lasciare strada ai giovani.

Se è vero che c'è qualche crepa nei tornei del circuito, lui e Nadal hanno vinto 10 degli ultimi 11 Slam. E probabilmente sarebbero stati 11 senza la follia dello Us Open. “Se siamo ancora qui c'è un motivo, e facciamo del nostro meglio per impedire ai più giovani di vincere gli Slam. Sono forti, sono molto vicini a farcela ma speriamo che il loro momento non arrivi troppo presto”. Le cose possono cambiare in fretta, ma lo diciamo da parecchi anni. E allora è meglio attenerci a quello che stiamo vivendo: il periodo più incredibile nella storia del tennis. Una generazione di fenomeni senza precedenti. “Fino a due ore prima della partita contro Raonic non sapevo se sarei sceso in campo – ha detto Cyborg Djokovic (termine utilizzato da Medvedev) – era la prima volta che scendevo in campo dopo l'infortunio. Il dolore era sopportabile, potevo farcela anche se non era dovuto a un indolenzimento a ma un infortunio vero e proprio. Sapevo dei rischi, ma era uno Slam”. Appunto, uno Slam.