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IL CASO

Cosa sappiamo della vicenda Zverev-Sharypova

L'intervista-confessione di Olga Sharypova ha dato enorme visibilità alle accuse di violenza privata nei confronti di Alexander Zverev. In assenza di una denuncia penale (che non ci sarà) è difficile districarsi nel mare di informazioni da cui siamo bombardati. Ecco in cosa è credibile - e in cosa no - il racconto della Sharypova.

Riccardo Bisti
7 novembre 2020

Ormai non si parla d'altro. L'intervista-fiume concessa da Olga Sharypova a Ben Rothenberg, pubblicata su Racquet Magazine, ha conferito massima visibilità allo scandalo che coinvolge Alexander Zverev. 23 anni, stabilmente tra i top-10, già vincitore di un Masters, il tedesco si trova a dover fronteggiare accuse molto gravi. Violenza privata, sia fisica che psicologica, nei confronti dell'ex fidanzata. La Sharypova ha scelto di non rivolgersi alle autorità: “Non ho intenzione di denunciarlo perché non voglio nulla da lui” ha detto. A suo dire, l'unico obiettivo è aiutare le donne che si trovano in situazioni simili a trovare la forza per sopravvivere ed essere resilienti come è stata lei. “Voglio soltanto dire la verità”. Il fatto è che – per ora – si conosce soltanto la sua verità. Strabordante, dettagliata, a volte confusa, ma a senso unico. Per ora, il giocatore si è limitato a qualche riga di replica sul suo account Instagram e poche parole nelle conferenze stampa a Parigi Bercy.

C'è però una novità: consapevole dei potenziali (ed enormi) danni d'immagine, si è rivolto a uno specialista, il 57enne tedesco Bela Anda. Tra i servizi offerti dalla sua agenzia (ABC, acronimo di Anda Business Communication) c'è proprio la gestione della comunicazione in momenti di crisi, che prevede “analisi mirata della situazione, elaborazione rapida delle misure di comunicazione e rapidi interventi che aiutano a gestire le situazioni urgenti”. C'è da credere, dunque, che le contromosse non tarderanno ad arrivare. Nell'oceano comunicativo divampato in queste ore, è complicato farsi un'idea chiara e precisa. Affidando le sue accuse ai media (denuncia su Instagram e tre interviste-shock), la Sharypova ha generato grande confusione e il tribunale dei social si è scatenato, dividendosi tra colpevolisti, innocentisti e... prudenti. Per questo, è corretto ripercorrere quello che sappiamo e analizzarlo in modo sereno e il più possibile oggettivo.

Nel racconto della Sharypova c'è un passaggio molto importante: quando parla del tentato suicidio a Ginevra, menziona una persona dell'organizzazione che sarebbe giunta nella loro stanza dopo essere stata chiamata da Zverev. La ragazza ne ha fatto il nome e Rothenberg l'ha contattato, sia pure senza ottenere risposte in nome della privacy. Questo dettaglio conferisce maggiore credibilità al racconto.
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I FATTI
Mercoledì 28 ottobre, Olga Sharypova denuncia sul suo profilo Instragram i maltrattamenti e gli abusi ricevuti da un uomo. Nella foto la si vede a Roma, con alle spalle il Colosseo, e le accuse sono scritte in russo. Non vengono fatti nomi, ma la tempistica incuriosisce: il post compare poche ore dopo che Brenda Patea (ultima fidanzata di Zverev) aveva annunciato di essere incinta del giocatore, e di non voler condividere con Zverev la custodia del figlio. “Il bambino non è la ragione della nostra separazione. Siamo andati in crisi perché abbiamo punti di vista diversi sulla vita. Chiunque viva al fianco di un atleta deve sottomettersi” aveva detto la Patea, 27 anni, professione modella. Nel racconto, la Sharypova ha narrato del primo episodio di violenza e – con qualche dettaglio in più – quanto avvenuto a New York nell'agosto 2019. Il giorno dopo è arrivata la replica di Zverev, il quale si è limitato a dire che le accuse semplicemente, non sono vere. Il giocatore ha poi auspicato un dialogo sereno e civile con la Sharypova. Quest'ultima si è arrabbiata ancora di più, replicando con alcune storie su Instagram (le storie sono post che rimangono visibili per 24 ore e poi scompaiono). “Non hai avuto la decenza di rispondermi direttamente. Io non sto mentendo e lo sappiamo entrambi. Io non ho paura di dire la verità, e tu?”. In questi giorni, ha rilasciato tre interviste. Dopo quella ai russi di Championnat, ha parlato con la Bild e – giovedì 5 novembre – è uscita la lunga intervista a Ben Rothenberg, realizzata venerdì scorso nel New Jersey, a casa del suo amico d'infanzia Vasil Surduk e della matrigna di lui, una donna che in questa storia figura come “Mrs. V”. Si tratta di due figure importanti, poiché hanno avuto un ruolo attivo nei fatti dell'agosto-settembre 2019. Nell'intervista-confessione con Rothenberg, la ragazza racconta moltissimi dettagli e cita quattro episodi di presunta violenza.

  1. Il primo a Monte Carlo, poco dopo l'inizio della relazione: Zverev l'avrebbe accusata di essere stata la prima ad aver alzato le mani quando lei era finita per terra, dopo che lui l'aveva costretta con la testa contro il muro.

  2. Quello di New York, con scenari quasi da film: la fuga in ciabatte dopo che lui l'aveva quasi strangolata con un cuscino, la chiamata a Surduk, il rifugio a casa di lui, il recupero dei propri oggetti ritrovati nel corridoio dell'hotel (ma con parecchie cose mancanti, tra cui il passaporto) e un avventuroso riavvicinamento a Zverev grazie all'intercessione di Surduk e della sua matrigna. Questo è l'unico episodio sul quale sono stati pubblicati elementi che potrebbero valere come prova: gli screenshot delle chat con il suo amico, accompagnate da alcune foto.

  3. L'ennesimo episodio di violenza durante la Laver Cup a Ginevra. Lo stato di sottomissione psicologica l'avrebbe condotta a un tentativo di suicidio con iniezione di insulina, sventata solo grazie alla decisione di aprire la porta del bagno e farsi soccorrere da Zverev stesso e da una persona dell'organizzazione. Una barretta di glucosio le avrebbe permesso di riprendersi.

  4. Un'avventurosa fuga da Zverev durante la trasferta in Asia, nell'ottobre 2019, avvenuta grazie all'aiuto di Mrs.V. Su questo episodio non ci sono dettagli, perché la Sharypova – dopo due ore di intervista – si è detta provata e di non essere in grado di raccontare altro.

A tutto questo si aggiungerebbe una costante violenza psicologica. Dai racconti emerge uno Zverev ossessionato dal tenere sempre sotto controllo la fidanzata, impedendole di avere una vita al di fuori della loro relazione. La faceva sentire in colpa per qualsiasi condizione di benessere che non riguardasse la loro vita di coppia. In attesa di ulteriori sviluppi, questa – per ora – è la storia. Vista la gravità delle accuse, è opportuno analizzare gli elementi nella loro interezza.

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ELEMENTI PRO-SHARYPOVA

  • Il racconto è particolarmente dettagliato e (salvo in un caso) non sembrano esserci particolari contraddizioni. La presenza di due testimoni (Surduk e la matrigna) garantisce una base più solida al racconto, anche se le loro testimonianze dirette non sono particolarmente pesanti nei confronti di Zverev. Anzi, sono stati parti attive nel favorire un riavvicinamento dopo i fatti di New York.

  • Per adesso, Zverev non ha preso nessuna iniziativa legale. Se il racconto fosse totalmente inventato, ci sarebbero gli estremi per una querela per diffamazione. Qualche anno fa, Rafael Nadal non esitò a querelare Roselyne Bachelot, la ministra francese che lo aveva accusato di doping. Vinse la causa. Al contrario, dalle dichiarazioni di Zverev e Anda, sembra che ci sia interesse a stabilire un dialogo razionale e rispettoso. Come a voler chiudere la faccenda con un accordo extra-giudiziale che eviti ulteriori scocciature.

  • Il testimone di Ginevra. Nel racconto della Sharypova c'è un passaggio molto importante: quando parla del tentato suicidio a Ginevra, menziona una persona dell'organizzazione che sarebbe giunta nella loro stanza dopo essere stata chiamata da Zverev. La ragazza ne ha fatto il nome e Rothenberg l'ha contattato, sia pure senza ottenere risposte in nome della privacy. Questo dettaglio conferisce una credibilità ben diversa al racconto di Ginevra. Insomma, c'è da credere che in quella stanza d'albergo sia davvero successo qualcosa.

ELEMENTI PRO-ZVEREV

  • La mancata denuncia. Nella sua intervista, la Sharypova mette subito in chiaro che non ha intenzione di procedere legalmente contro il suo ex. Se è comprensibile il timore a rendere pubblica una faccenda così delicata, nel momento in cui si sceglie di parlare c'è un bivio: una denuncia alle autorità o una campagna mediatica. La Sharypova ha scelto la seconda via, con motivazioni quantomeno discutibili. Fosse davvero convinta delle sue accuse – vien da pensare – avrebbe agito diversamente, assicurando Zverev alla giustizia e sottoponendolo allo stress di un processo. In questo modo, il tedesco avrebbe avuto ugualmente un danno d'immagine e in più avrebbe pagato eventuali colpe. Però la ragazza avrebbe dovuto presentare accuse precise, circoscritte e documentate, e non limitarsi a interviste. Ha scelto di dare una connotazione molto emotiva alla storia, ben sapendo che nell'epoca dei social network si sarebbe scatenato un putiferio tra opposte fazioni, come in effetti è avvenuto. Una decisione che presta il fianco a insinuazioni e congetture. I maligni potrebbero pensare che avesse due obiettivi reali: danneggiare l'immagine di Zverev e farsi pubblicità. Fossero o meno le sue intenzioni, è certo che si sono verificate entrambe.

  • La contraddizione. Parlando dei fatti di New York, la Sharypova è caduta in contraddizione nel raccontare parte della storia. In una prima versione, dice testualmente così: “Inizialmente mi sono nascosta nell'hotel, ma Sascha è sceso e mi ha trovato. Ci siamo fermati vicino all'ingresso laterale. Ho singhiozzato e ho cercato di andarmene, ma lui voleva che tornassi nella stanza e abbiamo parlato. Ma in quel momento ho capito che non ci sarebbe stato dialogo. Avevo paura e volevo scappare. Ma Sascha mi ha spinto contro il muro e ha detto che a nessuno sarebbe importato di me, e di quello che avrebbe fatto. Per fortuna in quel momento sono apparse delle persone e sono corso con loro in strada. Ero sola, a piedi nudi in mezzo alla strada. È stato buono che avessi un telefono e sono stata in grado di contattare un amico che mi ha portato dalla sua famiglia”. Nell'intervista con Rothenberg, invece, la versione dei fatti è diversa: “In un certo momento ho avuto il tempo di correre all'ingresso. Lui aveva paura di seguirmi nell'atrio perché alcune persone potevano vederci”. A quel punto sarebbe arrivata alla reception del primo piano, raggomitolandosi sul divano vicino al muro, pensando che Zverev avrebbe potuto non vederla se fosse passato, ma aveva paura di essere notata da qualcuno che la conoscesse, magari nel mondo del tennis. “C'era una folla di persone e volevo andarmene, non volevo che nessuno del circuito mi vedesse in lacrime”. Sperando di evitare di essere riconosciuta, si è recata nell'ingresso posteriore dell'hotel, laddove alcuni sconosciuti hanno capito che era in difficoltà, a piedi nudi sul marciapiede. Quando Zverev sarebbe uscito a cercarla, le hanno permesso di sfuggirgli. “Quando hanno visto Sascha che è venuto a cercarmi, alcuni sono andati da lui a iniziare a parlargli. A questo punto, quando uno gli stava parlando, sono fuggita via in modo che non mi vedesse”. Questo racconto non è compatibile con il precedente, inoltre è difficile credere che le persone che le hanno dato una mano l'abbiano lasciata andare via, a piedi nudi, dopo aver depistato la ricerca di Zverev.

Comunque vada a finire, una brutta storia. Ne avremmo fatto volentieri a meno.