Player&Coach: Vinicius Trevisan

The Stringer

Attrezzatura
1 giugno 2020
di Staff Tennis Magazine
Un lavoro professionale da oltre quattromila incordature l’anno per 50 chilometri di corda, da svolgere otto al giorno, con concorrenza sleale e (molto) mal retribuito. Ecco cosa dice, ascolta e consiglia un tipico incordatore italiano

Quante incordature mediamente posso fare in una tipica giornata di lavoro? Onestamente, una quindicina. Per fare un lavoro come si deve, servono 25 minuti, perché devi tirar dritto otto ore, per sei giorni e mezzo la settimana. I record di velocità contano poco se poi tiri due corde insieme o non le allinei come si deve. In più, ogni oretta devo fermarmi una decina di minuti, comprese le pause fisiologiche e le telefonate di clienti, parenti e amici. Se resto full tutto l'anno, supero le quattromila incordature. Sono più di 50 chilometri di corda...

Cosa faccio quando un giocatore veterano o di livello amatoriale, mi chiede di incordargli la sua racchetta da 320 grammi, 98 pollici e 19 millimetri di spessore, con un monofilamento a 25 kg, «anzi no, fai un chiletto in più, così non mi scappa lunga»? La prima volta cerco di convincerlo a usare tensioni molto più basse; la seconda, a provare un bell'ibrido; la terza, a passare al multifilamento; la quarta, gli consiglio di cambiare anche la racchetta. Se poi insiste, gli metto tranquillamente un 4G a 27 kg e chiamo il fisioterapista per la provvigione.

Succede ancora che qualcuno mi chieda di cambiargli le stringhe. Giuro.

In linea generale i clienti cominciano a essere più preparati. Ogni tanto entrano sapendo perfettamente quello che vogliono, altre hanno piacere a confrontarsi. I migliori sono quelli che si lasciano accompagnare nella scelta e che amano sperimentare, soprattutto con gli ibridi. Succede che si sbaglia clamorosamente, ma il divertimento sta anche nel creare qualcosa di particolare e molto soggettivo. Provare a cambiare è divertente e talvolta si trovano dei set up perfetti, che nemmeno ti immaginavi.

Trovare la corda giusta è complicato. Con la racchetta te la cavi tra una ventina di modelli, con le scarpe anche meno. Corde ce ne sono tantissime e spesso di buonissimo livello. Poi è difficile captare piccole differenze perché dipende dalle palle che usi, la superficie sulla quale giochi, le condizioni meteo, la giornata buona o cattiva del giocatore che con qualcosa deve pur prendersela. La prima opzione è individuare la categoria di riferimento (monofilamento, multifilamento, ibrido, eccetera), poi lavorare partendo da quello a cui è abituato il giocatore e portarlo eventualmente su una strada più consona poco alla volta.

Un consiglio che mi ha dato un ingegnere, grande esperto di corde: prova a montare un ibrido composto da una corda molto resistente e una molto morbida, alla stessa tensione. Quella resistente spingerà tanto dietro quella morbida e le rotazioni aumenteranno in maniera evidente. Certo, si romperà prima, ma se sei un arrotino è una libidine pazzesca.

Quando mi chiedono il budello naturale, faccio il 15% di sconto di default. Così, per stima.

«Sarò di parte, ma non capisco quelli che fanno incordare la racchetta da un mezzo sconosciuto al circolo, che usa una macchina pessima, con sistemi che ti raccomando. Poi si lamentano che giocano male o hanno dolori al braccio. Oh, per risparmiare tre euro!». Anonymus Stringer

Se invece volete davvero un monofilamento, tenete molto bassa la tensione, anche sotto i 20 kg. In un’edizione del torneo di Monte Carlo, Mikhail Kukushkin (best ranking numero 39 ATP) è arrivato a 9,5 kg.

La domanda più frequente di chi non ha grande dimestichezza con le corde: «Scusa, ogni quanto le devo cambiare?». E la tua macchina? La cambi uguale che abbia fatto 20.000 chilometri in città o 50.000 di rally? Non esiste un parametro perfetto perché dipende dalle sollecitazioni che riceve, dalle rotazioni che si imprimono, dall'umidità a cui si gioca (se fate provare la stessa corda a un giocatore di Catania e l'altro di Aosta avrete sensazioni molto diverse), da dove conservate la racchetta. In linea di massima, il budello naturale si può portare a rottura, il monofilamento va comunque tagliato dopo 10-12 ore di gioco se siete un buon quarta categoria, ogni nove game se vi chiamate Rafael Nadal.

Se porti la tua corda, chiedo mediamente sette/otto euro di manodopera (fanno una quindicina di euro l'ora, un quarto di un idraulico) e qualcuno si lamenta pure. Mi verrebbe voglia di volare a Roland Garros, entrare nella sala incordatura e fotografare il cartello che indica il costo della manodopera: 25 euro! E poi appenderlo nel mio negozio. Ora, non pretendo che Mario Rossi, 42 anni, classifica 4.3, debba sborsare la stessa cifra di un professionista, però il lavoro è del tutto simile, per impegno e professionalità. Quindi posso dire che questo lavoro è mal retribuito.

Sarò di parte, ma non capisco quelli che fanno incordare la racchetta da un mezzo sconosciuto al circolo, che usa una macchina pessima, con sistemi che ti raccomando. Poi si lamentano che giocano male o hanno dolori al braccio. Oh, per risparmiare tre euro!

La frase che detesto di più? «Oh, con quello che ho speso per la racchetta, metti una corda mooolto economica, capito?». 

In attesa di ulteriori evoluzioni della collezione Clash, val la pena domandarsi quali potrebbero essere le novità che ci aspettano nel prossimo futuro. In passato, quasi tutti i tentativi più arditi hanno fallito ma la tecnologia avanza a passo spedito. Non è dunque utopistico pensare che fra qualche anno si potranno creare racchette direttamente dalle stampanti 3D di nuova generazione e con specifiche sostanzialmente personali, dove ogni piccolo dettaglio e inserto potrà essere studiato in base ai desideri del giocatore. Purtroppo, il mercato globale del tennis non è così ricco da stimolare investimenti significativi in ricerca e sviluppo, quindi perché innovazioni sostanziali trovino applicazione nel concreto, serviranno (probabilmente) ancora tanti anni. Anche perché le rigide regole della Federazione Internazionale sono un freno notevole alla fantasia dei designer, come confermano gli ingegneri Wilson: «Nel corso degli ultimi 50 anni la produzione delle racchette da tennis è migliorata notevolmente, ma la forma dell’attrezzo è rimasta praticamente inalterata anche perché gli spazi di manovra sono limitati. Quindi, difficilmente ci saranno delle grandi novità sotto questo punto di vista, mentre si continuerà a lavorare su nuovi materiali per rendere i telai sempre più performanti». Nella speranza che un giorno non si sostituiscano anche al braccio.