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LA STORIA

Trungelliti-Kicker, perdòno e redenzione

Nonostante le pesanti conseguenze dei fatti di qualche anno fa, Marco Trungelliti e Nicolas Kicker si sono riavvicinati. È stata la moglie del primo a capire che era cambiato qualcosa. “E mi ha permesso di rompere un ghiaccio che rischiava di restare per anni”. La forza del perdono si è incontrata con l'ammissione di responsabilità.

Riccardo Bisti
10 ottobre 2023

“Non parlo con Federico Coria e Patricio Heras, non ci scambiamo neanche uno sguardo. E non mi interessa cosa fanno della loro vita. Con Nicolas, invece, ci salutiamo ogni volta che ci vediamo. Cordiali saluti. Potete chiedere a lui cosa ne pensa, però l'ho visto in Australia quando è tornato dopo la sospensione e mia moglie ha avuto un'intuizione. Mi ha detto che avrei dovuto salutarlo. Per me è stato difficile, ma alla fine mi è venuto naturale ed è un bel ricordo. Si è rotto un ghiaccio che avrebbe potuto restare per anni. Ha detto che il problema non ero stato io e credo che lo abbia dimostrato quando gli ho toccato la spalla e gli ho detto: 'Ciao Nico, come stai?'. Lui mi ha salutato bene, guardandomi negli occhi. Si è assunto le sue responsabilità ed è stato chiaramente quello che ha pagato di più”. È un passaggio dell'ultima intervista realizzata da Marco Trungelliti con La Naciòn, in cui è tornato sul suo calvario personale dopo aver denunciato un tentativo di corruzione. Trungelliti è tornato a giocare in Argentina dopo quasi cinque anni. Aveva scelto altre vie perché temeva per la sua incolumità. La sua carriera non è andata come avrebbe voluto. Il best ranking è lontanuccio (è stato n.112, oggi è 236) e le angosce esistenziali si sono tradotte in problemi fisici.

Oggi ha trentatrè anni e vorrebbe giocarne ancora un paio, possibilmente senza infortuni. Nella conversazione con Sebastian Torok ha detto che il sistema non è cambiato rispetto ad allora. Ci sono ancora partite truccate, le vede con i suoi occhi, e ritiene che il tennis non faccia nulla per evitare certi fenomeni. I media internazionali hanno ripreso la frase in cui ha detto che Federer e Nadal sono “complici” del sistema perché si sono disinteressati al tema. “Se lo hanno fatto è stato in privato, ma non è cambiato niente”. Al contrario, Djokovic e Vasek Pospisil si sono conquistati la sua stima per l'impegno concreto nel cercare di migliorare le condizioni di vita dei giocatori di seconda fascia. Argomento che riemerge periodicamente. In questa sede, tuttavia, è bello riprendere la frase citata in apertura. Nelle parole di Trungelliti c'è la forza del perdono. Non tutti ce l'hanno. Marco ha ricucito il legame con un giocatore che era stato costretto ad accusare. La ritrovata cordialità tra i due ha un valore altissimo, perché era stato Trungelliti a raccontare agli investigatori della Tennis Integrity Unit (oggi International Tennis Integrity Agency) che – per convincerlo a vendersi qualche partita – i due corruttori che lo avevano approcciato nel 2015 gli avevano fatto i nomi di alcuni tennisti con i quali lavoravano. Tra loro c'era anche Nicolas Kicker.

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«Kicker mi ha salutato bene, guardandomi negli occhi. Si è assunto le sue responsabilità ed è stato chiaramente quello che ha pagato di più» 
Marco Trungelliti

Le indagini portarono a una squalifica esemplare: provata la sua colpevolezza (si era venduto un match a Padova contro Duckhee Lee e uno a Barranquila contro Giovanni Lapentti: ha confessato solo per quest'ultimo), gli diedero sei anni di squalifica, di cui tre sospesi con la condizionale. Fu bloccato nel momento migliore della sua carrera, a metà 2018. Aveva appena esordito in Coppa Davis e aveva raggiunto il best ranking (n.78 ATP). “Mi sento come Maradona a USA '94” esclamò all'epoca, dichiarandosi innocente e sparando a zero su un presunto infame, che poi sarebbe risultato essere Trungelliti. A suo dire, il tennista argentino in questione (non fece pubblicamente il nome) avrebbe rilasciato informazioni false sul suo conto. “Ma andrò al CAS di Losanna è dimosterò la mia innocenza”. Le sue parole ebbero un effetto devastante su Trungelliti, preso di mira da diversi colleghi e giornalisti perché spione. In realtà aveva fatto soltanto il suo dovere. Un'esasperazione che lo portò, nel febbraio 2019, a raccontare il suo dramma. Una scelta che lo fece diventare l'unico whisteblower del tennis. Una scelta di cui paga le conseguenze ancora oggi. E Kicker? I suoi proclami di innocenza si sono sgonfiati rapidamente. Non c'è stato nessun ricorso al CAS di Losanna. Il suo avvocato (Diego Garcia Saenz, che nel 2005 aveva fatto ridurre di un terzo la squalifica per doping di Guillermo Canas) si era reso conto che le prove erano troppo evidenti per tentare la via giudiziale.

E così hanno cambiato strategia: confessare e mostrare pentimento. Nel febbraio 2019, Kicker ha girato un video in cui ammette le sue colpe e avvisa i giovani dei rischi che si corrono nel cadere in tentazione. Sperava che tale atteggiamento gli garantisse un cospicuo sconto di pena, invece l'hanno diffuso soltanto nel gennaio del 2020, quando annunciarono una riduzione di quattro mesi. Non più tre anni di stop, ma due anni e otto mesi. 988 giorni nei quali a potuto riflettere sui suoi errori, ma ha continuato ad allenarsi presso il Kicker Klub Haus di Merlo, quartiere medio-borghese di Buenos Aires in cui è cresciuto. Il circolo è di proprietà di papà Ricardo, che è sempre rimasto al suo fianco. Come alcuni colleghi con i quali si è allenato (Schwartzman, Pella e Cuevas). “Sento che la vita mi ha dato una seconda possibilità” raccontava nel febbraio 2021, quando è ripartito da zero. Bisogna dargli atto di aver affrontato con dignità la sua seconda carriera. Niente proclami, nessuna richiesta di solidarietà, testa bassa e pedalare. Si dice che le donne abbiano il sesto senso, una sensibilità più sviluppata rispetto agli uomini. L'atteggiamento di Kicker non è sfuggito a Nadir Ortolani, moglie di Trungelliti, che ha suggerito al marito di rompere il ghiaccio. Così è stato, ed è bello raccontare questo riavvicinamento.

Nicolas Kicker (qui con il padre Ricardo) è stato al massimo numero 78 ATP, nel 2018

Dopo il suo ritorno, Kicker ha vinto un Challenger a Villa Maria. È stato al massimo numero 180 ATP

Forte di una morale integerrima, Trungelliti fatica a capire chi commette gesti come quello di Kicker. Si può sbagliare, certo, ma è ancora più importante rendersi conto dello sbaglio. Sembra che Kicker lo abbia fatto, sebbene cinque anni fa avesse definito “false” le accuse e promettesse battaglia legale. Era caduto in tentazione perché non accettava che un ottimo professionista non riuscisse a mantenersi. La sua vita si era ulteriormente complicata ad appena 19 anni di età, quando è diventato padre di Bastian (oggi dodicenne). Provava disagio: un papà costretto a girare il mondo con poche racchette e una macchina incordatrice per risparmiare qualce soldo. Un papà impossibilitato a gustarsi la finale al Challenger di Todi, perché subito dopo doveva prendere un treno per andare a giocare un campionato a squadre in Svizzera. Un papà che aveva letto contratti inaccettabili da parte di presunti investitori. “Sono quasi da usurai. Firmare un contratto significa entrare in un vortice da cui è difficile uscire. Inoltre un allenatore costa molto”. Un papà che soffriva nel vedere suo padre ipotecare tre volte la casa e la madre dare lezioni extra di economia. E allora ha ceduto, vendendosi alcune partite in cambio di denaro. L'hanno accertato per due, non possiamo sapere se sia successo altre volte. “Per un errore ho rovinato la mia carriera – dice Kicker – il momento difficile è arrivato durante la sospensione, quando mio figlio mi ha chiesto perché non stessi giocando. È stata dura, perché gli ho detto la verità”. Per rimettersi in sesto si è affidato a una psicologa, ha corso una mezza maratona e ha lavorato con un trainer che si occupava di pugili.

“Adesso mi godo ogni momento, perchè giocare a tennis è la cosa che amo di più – raccontava qualche mese fa – quando perdo prevale la delusione, ma poi rifletto e riesco a dare il giusto valore al percorso. Non mi sento un esempio: semplicemente racconto la mia esperienza. Se me lo chiedono, dico che ho fatto questo e quest'altro. Ognuno potrà poi decidere come comportarsi”. Quando ha vinto il suo primo titolo ITF (a Villa Maria), i suoi match non furono trasmessi in streaming perché era finito in una lista di giocatori a rischio. Non ha fatto una piega e ha continuato nella sua rincorsa, arrivando a un picco da numero 180 ATP, peraltro con un titolo Challenger (sempre a Villa Maria). Ha ripreso a respirare l'aria degli Slam. Ed è stato uno Slam a fare la magia del riavvicinamento a Trungelliti. Da quel momento, forse, si è messo definitivamente alle spalle il passato e ha ritrovato serenità. Ma gli ostacoli sono sempre dietro l'angolo: si è infortunato durante le qualificazioni del Roland Garros ed è fermo da ormai quattro mesi. Ha costantemente rinviato il rientro, e adesso non risulta iscritto a nessun torneo. La sua ultima uscita pubblica è stata una sciata con il figlio a Cerro Castor, località sciistica nella Terra del Fuoco. È tornato sul campo: l'ultimo avvistamento riguarda un allenamento con il junior argentino Ian Vertberger. A 31 anni di età, avrebbe ancora il tempo per risollevarsi e dare ulteriore dignità a una storia difficile. Ma l'aneddoto raccontato da Trungelliti vale più di qualsiasi vittoria. Da una parte c'è la forza del perdono, dall'altra la capacità di assumersi le responsabilità. Il passato (e certe colpe) non si cancellano, ma Kicker le ha affrontate nel modo giusto. Trungelliti lo ha capito, ed è stato bello raccontarlo. Chissà se questa storia avrà un lieto fine.