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IL CASO

Test COVID-19: ormai a Parigi è psicosi

L'incertezza sui tamponi spaventa i giocatori, timorosi di essere esclusi anche senza essere infetti. L'incredibile storia di Katarzyna Kawa, risultata positiva e rispedita a casa senza alcuna precauzione. “Ma io sono sana. Le regole devono cambiare: appena c'è un test positivo, ne va subito fatto un altro. Merito un risarcimento”. Intanto si parla di un'ulteriore riduzione del pubblico.

Riccardo Bisti
24 settembre 2020

309.133 dollari di prize money in dieci anni sono una miseria. Circa 30.000 all'anno, a cui bisogna detrarre tasse e spese di vario genere. C'è da credere che Katarzyna Kawa non si sia arricchita col tennis. Tra sponsor e qualche gara a squadre avrà trovato il modo di vivacchiare, ma frequentare così a lungo il circuito minore sarà stata soprattutto fonte di frustrazione. A 27 anni di età, la polacca ha dato una svolta alla sua carriera. Per la prima volta vede le top-100 WTA grazie a qualche buon risultato, su tutti la finale al WTA di Jurmala 2019. Numero 128 del mondo, qualche settimana fa ha giocato il suo primo Slam in tabellone allo Us Open (eliminata da Ons Jabeur), poi ha partecipato alle qualificazioni a Roma. Doveva essere la preparazione per l'assalto al main draw del Roland Garros. Ma una semplice parola ha frantumato le sue speranze e – soprattutto – le possibilità di guadagno. Per i tennisti del suo livello, gli Slam rappresentano il principale bancomat. “Positivo”. C'era scritto così nel secondo test effettuato a Parigi, circa 40 ore dopo il primo, in cui era risultata negativa.

Il regolamento è molto severo: appena c'è un caso di positività, il tennista in questione è estromesso. Oggi la Kawa si trova nella sua abitazione di Poznan, in un mix di stanchezza e frustrazione. Vuole provare a fare qualcosa, a cambiare il sistema. Il destino dei tennisti non può dipendere dall'esito di tamponi non affidabili al 100%. “Sono sana e la sono sempre stata – ha detto la Kawa, che ha pubblicato su Instagram l'esito di un terzo test effettuato in Polonia, ovviamente negativo – ho scelto di rendere pubblica la mia storia perché non è possibile essere esclusi sulla base di test che non danno garanzie al 100%”. La polacca giura di aver tenuto una condotta impeccabile. Al ritorno dalla bolla di Flushing Meadows si è allenata per qualche giorno in Polonia, all'aperto, evitando troppi contatti. “E ho sempre usato la mascherina”. In realtà potrebbe essersi contagiata ovunque, magari a Roma, ma poco importa. Per lei, conta essere risultata negativa a due test su tre, effettuati nell'arco di cinque giorni.

"Avevo paura di tornare a casa in aereo. Se avessi detto che ero positiva avrei avuto problemi, ma se fossi stata zitta sarebbe stato ancora peggio. Alla fine ho noleggiato un auto e ho guidato fino a Berlino, dove avevo lasciato la mia macchina. Da lì, sono arrivata a Poznan. È stato un viaggio a rate, ma almeno non ho avuto contatti" Katarzyna Kawa
Katarzyna Kawa ha giocato a Flushing Meadows il suo primo match nel main draw di uno Slam

“Dovrebbe esserci un regolamento unico, su base internazionale – dice – ogni Paese ha teorie e test diversi”. A poche ore dal caso di Benoit Paire, tenuto in naftalina dagli organizzatori di Amburgo, e dalla furia di Damir Dzumhur (escluso da Parigi per la presunta positività del coach), la Kawa punta il dito contro i test. Negli Stati Uniti venivano effettuati soltanto quelli al naso, mentre in Francia ci sono quelli profondi, in cui il bastoncino viene infilato sia nel naso che in gola. “Farlo ogni due giorni è terribile. Negli Stati Uniti ci hanno detto che i tamponi superficiali e quelli profondi hanno egual valore, mentre in Francia sono ritenuti validi solo quelli profondi”. La fiducia nel sistema è ai minimi storici anche per i giocatori ancora in gara a Parigi. Parlando con AFP, Enzo Couacaud ha detto che ogni test sembra il lancio di una monetina. “Nessuno sa quanto siano veramente accurati – dice – ho sentito parlare di falsi positivi, poi falsi negativi... ci sono stati casi in cui il risultato era talmente borderline da obbligare a un secondo test. Inoltre ogni Paese fa a modo suo. In Francia sono più profondi, negli Stati Uniti si limitavano alla punta del naso. In alcuni posti prelevano la saliva, in altri il sangue... Non sai a cosa credere”.

Ma se Couacaud si giocherà l'accesso al main draw, la Kawa è potuta rientrare a casa. Ma come? Non c'era una quarantena da rispettare? I casi dei tennisti francesi a New York sono già finiti nel dimenticatoio? Parlando con un media polacco, Katarzyna ha raccontato una storia ai limiti del surreale. “Essendo risultata positiva, avrei dovuto sottopormi a sette giorni di isolamento in Francia, ma potevo anche tornare a casa perché non esiste una legge a impedirlo. Se nessuno mi avesse detto nulla, sarei potuta partire. Se ne sono lavati le mani, scaricando ogni responsabilità su di me. Ero risultata positiva, ma potevo rientrare a casa come se fossi una persona sana”. Le hanno semplicemente consigliato di prendere un Uber fino all'aeroporto e poi incrociare le dita. “Ma avevo paura di prendere l'aereo. Se avessi detto che ero positiva avrei avuto problemi, ma se fossi stata zitta e mi avessero preso, sarebbe stato ancora peggio. Alla fine ho noleggiato un auto e ho guidato fino a Berlino, dove avevo lasciato la mia macchina nel viaggio d'andata. Da lì, sono arrivata a Poznan. È stato un viaggio a rate, ma almeno non ho avuto contatti”.

Enzo Couacaud è al turno di qualificazione, ma teme l'esito "incerto" dei tamponi
La pandemia da COVID-19 ha rallentato i lavori di ammodernamento del Roland Garros

Difficile farsi un'idea: la sensazione è che a New York fossero molto più organizzati. “La bolla americana non era così male, non ho avuto la sensazione di essere in prigione – prosegue la Kawa – e comunque chi non voleva vivere l'esperienza non era obbligato a venire. Non sono d'accordo con le lamentele della Mladenovic: c'erano delle regole e dovevano essere rispettate. La famosa partita a carte non era necessaria”. C'è però un sospetto: possibile che a New York siano emersi appena un paio di positivi (Paire e Juan Manuel Galvan, preparatore atletico di Pella e Dellien), mentre a Parigi molti di più (e con meno test)? Non è che i test profondi adottati in Francia sono più affidabili e meno generosi? Impossibile a dirsi. Di certo, tutti i positivi sono asintomatici e vivono l'esclusione come un'ingiustizia, considerando la ricchezza del prize money (la sola partecipazione alle qualificazioni garantisce 10.000 euro, il main draw ne offre ben 60.000).

Ho saputo che Dzumhur vuole fare causa al torneo: proverò a contattarlo per capire quali passi farà. Più siamo e meglio è, magari si può cambiare il regolamento. Vorrei che dopo un test positivo ci sia l'obbligo di ripeterlo subito. Penso che si possa fare in sicurezza: il match del giocatore sospetto potrebbe essere spostato di un giorno, e nel frattempo lo si potrebbe mettere in isolamento. Ci sono troppi giocatori con storie simili, le cose devono cambiare. Parlerò con un avvocato per capire se posso ottenere un risarcimento: alla fine mi hanno addebitato tutti i costi del viaggio e della permanenza. Questo Roland Garros è stato il peggior torneo della mia vita: non ho giocato, non mi sono allenata, non ho guadagnato nulla e ho avuto soltanto spese”. Nel frattempo, dopo l'ennesima impennata di casi in Francia (13.000 nella sola giornata di mercoledì), il Ministero della Salute francese ha stabilito un limite di 1.000 spettatori negli eventi sportivi nelle undici città più grandi di Francia. La norma entrerà in vigore sabato, previa consultazione tra prefetto ed enti locali. Parigi rischia grosso, anche se c'è da credere che gli organizzatori faranno il possibile per mantenere i 5.000 spettatori faticosamente digeriti nei giorni scorsi.