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ASICS TENNIS ACADEMY

The Coach: Giulia Gatto Monticone

Era arrivata a sfidare Serena sul Centre Court di Wimbledon: subito dopo il ritiro, Giulia Gatto Monticone ha effettuato il passaggio da giocatrice a coach. Insieme al fidanzato Tommaso Iozzo segue alcune promesse alla Sisport di Torino, ed è il volto nuovo dell'ASICS Tennis Academy. “Ok la parità dei montepremi, ma guardate anche più in basso”

Intervista di Riccardo Bisti
8 novembre 2023

C'è stato un momento in cui Giulia Gatto Monticone non riusciva a tenere in mano un bicchiere. L'aneddoto serve a capire quanto siano straordinari i risultati della sua seconda parte di carriera, ripresa per i capelli grazie a tenacia e un rovescio tutto nuovo. Ha ottenuto il best ranking (n.148 WTA) e si è affacciata ai grandi tornei dopo i 30 anni, fino a qualificarsi per due main draw Slam. Archiviata la carriera da giocatrice, si è unita al suo ex team e sogna di condurre nel professionismo alcune giovani promesse. L'ASICS Tennis Academy ha scelto di puntare sul suo entusiasmo e sulle sue idee.

Quando si chiude la carriera con un best ranking simile al tuo (n.148 WTA), ci si domanda sempre se si sarebbe potuto fare qualcosa in più. Nel tuo caso com'è andata?
Sono felicissima di quello che è stato. Ho raggiunto tanti obiettivi: entrare tra le top-150 (anche se per un soffio), ho vinto lo scudetto in Serie A1, sono stata convocata in Billie Jean King Cup, ho giocato tantissimi Slam... avrei potuto giocarne ancora di più, ma purtroppo il Covid mi ha fatto perdere questa opportunità. Sono comunque felicissima, perché intorno ai 25-26 anni ho avuto due infortuni al polso. A 27 c'è stato il più grave, una situazione in cui sarebbe stato più facile smettere che andare avanti. Ero scesa al numero 500, ma ho deciso di darmi un'ultima chance senza mettermi addosso troppe pressioni... e da allora ho giocato il mio miglior tennis, raggiungendo la mia miglior classifica e giocando tanti tornei prestigiosi. Sono contentissima. Per rispondere alla domanda: forse avrei potuto fare di più, forse avrei potuto fare di meno, ma va benissimo così.

Hai avuto l'onore di giocare sul Centre Court di Wimbledon contro Serena Williams. Quel giorno hai avuto la sensazione di giocare contro un'extraterrestre, oppure c'è stato un momento in cui hai pensato che fosse almeno avvicinabile?
Inizialmente mi ha condizionato il contorno. Trovarmela davanti, dall'altra parte della rete, era come avere una mega televisione in 4K. La mia prima preoccupazione è stata voltarmi verso il mio box e non vedere nessuno, perché erano rimasti bloccati all'entrata. All'inizio erano le circostanze a farmela sembrare un'extraterrestre, ma con lo scorrere dei game, dopo i primi minuti di blocco, mi sono detta. “Ormai sei qui, giocatela al massimo”. Alla fine è andata bene, è stata una partita abbastanza normale e il secondo set è stato equilibrato.

Hai citato i problemi al polso: ti hanno obbligato a cambiare radicalmente la tecnica del rovescio. Cosa significa rivoluzionare un colpo quando sei una giocatrice già formata?
Problematica non indifferente, perché avevo un colpo decente ed era il rovescio... scherzi a parte, era davvero il mio colpo migliore ed ero molto preoccupata. Fortuna, caso, destino, avevo deciso di fare il corso maestri e conobbi l'ingegnere Gabriele Medri. Facendoci lezione su racchette, corde e materiali ci siamo conosciuti: grazie al suo aiuto e ad alcuni accorgimenti, ho impostato il nuovo colpo. Avevo una presa particolare, così abbiamo aumentato la dimensione del grip soltanto nella zona del polso dolorante, il sinistro, per avere meno pressione, e ho cambiato impugnatura, modificando la posizione di pollice e indice. Una rivoluzione, perché la mano sinistra è il 90% del rovescio bimane. È stato mentalmente complicato, ma era l'unica chance. Gabriele ha poi customizzato la racchetta per non sentire le vibrazioni. Grazie a lui e ai cambiamenti tecnici di Tommaso (Iozzo, il coach-fidanzato, ndr) ho ripreso a giocare. Per rendere l'idea di quanto fossi messa male, con la sinistra non riuscivo a tenere un bicchiere in mano. Era l'unica chance per andare avanti: molte altre avrebbero smesso, o magari non sarebbero state aiutate come la sono stata io.

«A 27 c'è stato l'infortunio più grave, una situazione in cui sarebbe stato più facile smettere che andare avanti. Ero scesa al numero 500, ma ho deciso di darmi un'ultima chance senza mettermi addosso troppe pressioni... e da allora ho giocato il mio miglior tennis»

In diverse interviste hai detto di avere tanti progetti post-carriera. Si stanno concretizzando? Di cosa ti occupi adesso?
Era importante dare continuità al mio impegno nel tennis. Lo sto facendo, perché con Tommaso abbiamo messo in piedi un team privato in cui seguiamo alcune ragazze di livello: Federica Rossi, Melania Delai, Chiara Formasieri e l'ultima arrivata Deborah Chiesa. Non dimenticherei l'Under 16 Angelica Cavadin. Siamo soddisfatti, c'è tanto lavoro. Prima mi allenavo con loro, poi mi sono spostata nel ruolo di coach. Mi trovo benissimo, mi piace davvero tanto. Mi trovo bene sia con Tommaso che con il preparatore atletico Stefano Pucci. Era il mio vecchio team che si è allargato con il mio innesto.

Dove fate base?
A Torino, presso la Sisport. È il circolo di proprietà Stellantis, l'ex FIAT. La struttura è fantastica, è il posto ideale per allenarsi. L'avevo scelta dieci anni fa perché ci sono campi in varie superfici, all'aperto, al coperto, la piscina, una palestra immensa... Anche lo staff dei maestri è sempre disponibile. C'è un gruppo coeso e in armonia, ci diamo tutti una mano. Mi sono sempre trovata bene.

Come vedi il futuro del nostro tennis femminile, la generazione post Trevisan-Paolini? Tra le più giovani, fino a oggi, è emersa soltanto Elisabetta Cocciaretto. Ci sono altre in grado di venire fuori?
Federica Rossi ha avuto alcuni problemi fisici, ma ha il potenziale per arrivare tranquillamente in alto. Il percorso è molto difficile, io ci sono passata. Per arrivare ci vuole una concatenazione di fattori, ma gli exploit della Cocciaretto sono un po' un'eccezione per noi italiane. Nella storia (salvo Pennetta e Schiavone, poi autrici di carriere piuttosto lunghe) è difficile che una ragazza salga così in fretta. Le 20enni attuali hanno ancora molto da fare, ma io sono ottimista. Adesso è il momento degli uomini, ma ci sono diverse ragazzine delle annate 2001 e 2002, fino alle più giovani. Non mi sento di fare un nome perché sono ancora molto piccole, devono strutturarsi e costruirsi. Non vedo una giocatrice che in un anno possa emulare la Cocciaretto. Il percorso è molto lungo, inoltre il livello medio del tennis femminile si è alzato tantissimo. Pensavo che a causa del Covid non accadesse, invece c'è stata una crescita esponenziale. Ai miei tempi, per esempio, per 2 anni il livello medio era sempre quello. Adesso, invece, cresce anno dopo anno. Va poi detto che non ci sono tanti tornei femminili a livello ITF, almeno non quanto i maschili. Il risultato è che la qualità media dei tornei in Europa è altissimo.

Parità dei montepremi. Hai opinioni forti su questo argomento?
Negli anni le cose sono migliorate. Io ero abbastanza favorevole alla parità, però mi rendo conto che è complicato. Secondo me il livello raggiunto oggi è abbastanza buono, perché un tempo c'era tantissima disparità. Ma c'è un tema che andrebbe studiato meglio: i Challenger maschili offrono ospitalità e aiuti. Tra le donne, pochissimi tornei hanno le stesse caratteristiche. Gli eventi da 60.000 dollari con ospitalità si contano sulle dita di una mano, gli 80.000 uguale... per avere la certezza dell'ospitalità bisogna salire fino ai 125.000. Per una ragazza che vuole iniziare è davvero difficile. Rispetto agli uomini, l'approdo al professionismo fino ad arrivare intorno al 200-300 del mondo è davvero faticoso. Ci vuole un grande sostegno economico: famiglia, federazioni, sponsor...

Se ne parla poco, ma è un tema importante...
Esatto. Tutti parlano della parità di montepremi nei tornei WTA, fascia frequentata da 200-300 giocatrici. Ma bisognerebbe dare una mano anche chi si sta approcciando al professionismo e sta provando a salire. Quando un uomo gioca i primi Challenger può usufruire dell'ospitalità, una donna assolutamente no. Per arrivare a ottenerla è necessaria una buona classifica, mentre l'uomo non ha bisogno di salire così in alto. Bisognerebbe costruire la piramide dal basso e non solo pensare alla cima. È un po' la battaglia che sta portando avanti Djokovic: ogni tanto se ne parla, ma andrebbe fatto più spesso.

«Per una ragazza che vuole iniziare è davvero difficile. Rispetto agli uomini, l'approdo al professionismo fino ad arrivare intorno al 200-300 del mondo è davvero faticoso. Ci vuole un grande sostegno economico: famiglia, federazioni, sponsor...»

Hai avuto la fortuna di avere un fidanzato che è anche un valido coach, ma la cronaca parla spesso di abusi e molestie da parte di coach uomini nei confronti di giovani giocatrici. C'è veramente un problema di questo tipo, o si tratta di situazioni isolate?
Non direi che siano casi isolati, perché ce ne sono stati parecchi, anche in passato. È un argomento delicato: succede nel tennis, ma anche in altri sport, e non bisogna esserne stupiti. Il problema è che se ne parla troppo poco. C'è chi ha la forza di raccontare, ma c'è anche chi preferisce non parlarne e voltare pagina, ma quando accade la tua vita è segnata. E se non ne parli, le stesse persone potrebbero segnare la vita di altre giocatrici. Diverse tenniste hanno denunciato allenatori, sia privati che legati a strutture federali. Va detto che a livello professionistico è inevitabile costruire un legame molto stretto con il proprio allenatore, ma bisogna essere in grado di dividere la parte lavorativa con quella personale. E comunque certi limiti non vanno mai superati.

Ti sono giunte voci di casi mai emersi pubblicamente, oppure conosci solo quelli di cui si è parlato?
No, conosco i casi che sono stati denunciati. Al massimo possono esserci state delle mezze idee, delle mezze situazioni che si vedono durante i tornei. Accade sia in Italia che all'estero: non bisogna concentrarsi solo sull'Italia, perché questi problemi ci sono ovunque.

Nel circuito WTA ci sono poche allenatrici donne. Come mai? Cosa può dare in più una coach donna rispetto a un uomo? C'è soltanto la comprensione reciproca da donna o donna, oppure anche altro?
A livello umano cambia parecchio. Il tatto femminile è molto diverso, però molte giocatrici – per loro personalità – preferiscono il carattere forte di un uomo. Dipende molto dalle situazioni: io stessa so bene che non potrò fare la coach per tutta la vita, mentre per un uomo è onestamente più facile. Ovviamente la donna aspira ad avere dei figli e mettere su famiglia, quindi non può seguire giocatori all'infinito. È un limite, ma non vedo problemi legati alle capacità. Soprattutto all'inizio, magari per un breve periodo, un coach donna può sicuramente aiutare una ragazza. Da giovani si è molto sensibili.

Nata il 18 novembre 1987, Giulia Gatto Monticone è stata al massimo numero 148 WTA

«Come team siamo sempre molto aperti a collaborazioni, confronti. È molto utile discutere tipologie e metodologie di lavoro, sempre con la finalità di migliorarsi. Grazie ad ASICS è possibile, ed è una cosa importantissima»

Qual è stato l'errore più grave (o la mancanza principale) che hai avuto nella tua carriera, e che consiglierai assolutamente di evitare alle tue allieve?
Io ho avuto la fortuna di conoscere Tommaso: a lui mi sono affidata molto di più rispetto ai maestri che avevo avuto in precedenza: con lui e con il mio preparatore mi sono confidata moltissimo. Trovo che lo staff sia fondamentale, perché con loro devi lavorare in simbiosi. Se non ti fidi ciecamente del tuo team non ci sono le basi per fare un buon lavoro. Esempio: se il preparatore atletico ti dice che devi lavorare sulla forza per tre volte a settimana, perché tra tre mesi arriveranno i risultati, ti devi fidare. Magari qualcuno non ha voglia e inventa delle scuse, invece devi fidarti di loro. Quando ho iniziato a farlo, sono arrivati i risultati.

Stai dicendo che, oltre a trovare le persone giuste, devi affidarti a loro senza incertezze?
Sì, ma questo non significa che la giocatrice non debba parlare. Anzi, bisogna scambiarsi più opinioni possibili perchè è necessario collaborare al 100%. L'importante è avere le idee chiare ed essere decisi sugli obiettivi. Se Tommaso mi dice che devo giocare solo il dritto per un mese perché è la via da percorrere, magari mi può sembrare una forzatura, ma è il sistema per raggiungere l'obiettivo. E allora si arriva a dei compromessi. C'è un momento per ogni cosa: l'importante è affidarsi al 100%, senza dubbi.

Come arrivi all'interno dell'ASICS Tennis Academy?
Tommaso ne faceva parte già da un anno. Ovviamente conoscevo da tempo Charly Romiti e con lui avevamo già parlato per un discorso legato nostro team. Più in generale, il progetto ASICS è davvero interessante e ambizioso, senza contare la grande qualità del prodotto. Mi è piaciuto sin da subito, a partire dall'idea di mettere insieme un team di persone di alto livello.

Sei entrata da pochissimo, ma per quel poco che hai visto cosa ti entusiasma di più?
Il concetto di academy, la possibilità di avere un team sparso per l'Italia. Quando ci si incontra si crea un gruppo, dunque c'è la possibilità di scambiarsi idee e creare una rete di informazione lavorativa con qualcosa in comune. Per me è una cosa fantastica: come team siamo sempre molto aperti a collaborazioni, confronti. È molto utile discutere tipologie e metodologie di lavoro, sempre con la finalità di migliorarsi. È una cosa importantissima.