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IL RITIRO DI JOHN ISNER

The Last Serve 

Lo Us Open sarà l'ultimo torneo di John Isner. Rimarrà nella storia per il servizio-bomba e 2-3 partite epiche, ma è bello ricordarlo per aver portato tanti buoni sentimenti nel cinismo del professionismo sfrenato: l'amore per la famiglia, la riconoscenza per il college, la passione per i cani... e per il cioccolato. 

Riccardo Bisti
24 agosto 2023

Craig Boynton siede all'angolo di Hubert Hurkacz, ma per diversi anni ha seguito John Isner. Fu lui a fargli capire che servire a 230 km/h andava benissimo, ma che esistevano anche gli avversari. Grazie ai suoi insegnamenti, Long John ha iniziato a comprendere la tattica e a studiare le strategie altrui. Senza Boynton, probabilmente, non sarebbe diventato il miglior giocatore americano dell'ultimo decennio. Ha chiuso tra i top-20 per dieci anni di fila (!), ha vinto sedici titoli ATP e trascorso ben 83 settimane tra i primi dieci. A 38 anni e con quattro figli, ha detto basta. Un emotivo messaggio su Instagram, scritto nella notte italiana tra mercoledì e giovedì, ha informato del suo addio al tennis. L'imminente Us Open sarà il suo ultimo torneo, diciassettesima partecipazione a un torneo che tanti anni fa lo aveva rifutato. Aveva diritto a una wild card in doppio perché aveva vinto il Campionato NCAA, ma gliela negarono. Ed è simbolico – persino romantico – che sarà proprio una wild card a consentirgli di dare l'ultimo saluto. Isner sarà ricordato per due o tre cose: intanto il servizio-bomba, forse il migliore nella storia del tennis. Da quando esistono le statistiche, è il giocatore ad aver tirato più ace: 14.411. E poi quelle due folli partite a Wimbledon: il 70-68 al quinto contro Nicolas Mahut nel 2010, undici ore e cinque minuti spalmate su tre giorni che gli hanno permesso di entrare nella cultura pop americana.

E poi la semifinale del 2018, quando arrivò a tanto così dal giocarsi il titolo contro Novak Djokovic. Perse 26-24 al quinto contro Kevin Anderson in sei ore e mezza. Quella partita convinse gli inglesi ad accelerare il processo per istituire il tie-break nel quinto set. Per carità, c'è molto altro: 16 titoli ATP, una vittoria Masters 1000 (Miami 2018, più anziano a vincere per la prima volta un torneo di categoria), una partecipazione alle ATP Finals e almeno una vittoria contro tutti i mostri sacri della sua epoca. Ma in questo coccodrillo agonistico preferiamo ricordare la persona, l'essere umano. Per questo abbiamo menzionato Craig Boynton: a lui si devono alcune delle frasi che più di tutte fanno capire chi è John Isner, il gigante buono di Greensboro, North Carolina. “Chiunque lo vorrebbe come vicino di casa. Chi non apprezza John, non apprezza il genere umano” ebbe a dire una decina d'anni fa. Alludeva al gran cuore di un ragazzo legatissimo alla famiglia, al punto da conservare l'antica tradizione della grigliata in famiglia anche quando era diventato un professionista affermato. Cascasse il mondo, non sarebbe mancato.

La simpatia per Donald Trump

Sebbene sia generalmente benvoluto, anche Isner è stato al centro di qualche polemica. Fedele al Partito Repubblicano, è sempre stato un sostenitore di Donald Trump. Durante Wimbledon 2018, disse che gli sarebbe piaciuto averlo in tribuna a sostenerlo (“Anche se so che a molti non piacerà”); mentre durante la pandemia scrisse più di un tweet sullo stile di quelli di Trump, mostrandosi scettico – se non oltre – sulle misure restrittive messe in atto in quei mesi. Molti utenti risposero piccati e lui non si tirò dietro, alimentando dibattito e polemiche. E non fu l'unica occasione in cui si schierò a favore dell'ex presidente USA.

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Lo doveva ai suoi familiari, in particolare mamma Karen. “La madre perfetta: mi ha sempre incitato a fare sport, ma semza mai forzarmi”. Un legame speciale: era abituato a sentirla tutti i giorni, per questo, non capiva perché non rispondesse alle sue chiamate quando era stato reclutato dalla University of Georgia, laddove ha rappresentato per quattro anni i Bulldogs. Non gli avevano detto che la madre stava combattendo con un cancro al colon: lei non voleva che i fosse condizionato nello studio e nel tennis. A un certo punto furono costretti a dirglielo: abbassò la cornetta, salì in macchina, guidò per quattro giorni e le è rimasto accanto per tutto il periodo della riabilitazione. Per fortuna, i medici del Lineberger Cancer Center anno fatto un lavoro straordinario e le hanno permesso di uscirne più forte di prima, anche in occasione della recidiva, datata 2007. Con l'anima finalmente leggera, John non si è mai dimenticato di loro. Per anni ha organizzato annualmente un'esibizione per raccogliere fondi a favore del maxi-ospedale situato all'interno dell'Università della North Carolina, a Chapel Hill, unica struttura pubblica per malattie di questo tipo in tutto lo Stato. Isner era il tipico ragazzo della campagna americana: famiglia, amici, sport e un po' di trash. Come la passionaccia per il wrestling: si narra che negli anni del liceo si radunasse con gli amici e facessero una colletta per acquistare i grandi eventi in pay-per-view. “Ho grande rispetto per i lottatori – disse – ogni volta che salgono sul ring mettono a repentaglio la loro incolumità, non è vero che fanno finta come si crede”. Vabbè.

L'aneddoto è utile perché spiega il suo forte senso di squadra, anzi, di comunità. L'ha sublimato nei quattro anni (2004-2007) al college, in cui si è legato anima e corpo ai Georgia Bulldogs. Non è un caso che – nel post d'addio – una delle pochissime persone menzionate sia stato Manuel “Manny” Diaz, allenatore del team tennistico. “Il College è stato il luogo perfetto per arrivare dove sono adesso – disse – se non fossi andato all'Università, oggi non sarei qui. Dopo le superiori non ho mai pensato di diventare professionista: Per fortuna, ho azzeccato tutte le scelte. La prima è stata la decisione di andare all'Università della Georgia, godermi ogni attimo e migliorare come giocatore e come persona. Sono maturato molto. Il coach Manny Diaz mi ha preparato perfettamente per quello che sarei diventato”. Per questo, nel 2007 scelse di tardare l'ingresso tra i professionisti per restare un anno in più con i suoi compagni e magari vincere il titolo NCAA, visto che quell'anno le fasi finali si giocavano in casa. Vinsero quello a squadre, mentre fallì quello individuale, battuto in finale da Somdev Devvarman. “Lo dovevo alla mia Università: senza di loro non sarei mai diventato un giocatore”. Tanta generosità fu ripagata qualche mese dopo: l'improvviso forfait di Fernando Gonzalez al torneo di Washington liberò una wild card. Era uno sconosciuto e giunse in finale, vincendo una partita dopo l'altra al tie-break del terzo set. Un mese dopo fece l'esordio allo Us Open, arrivando a sfidare Roger Federer. Fu il via di una carriera eccezionale sotto il profilo dei risultati, ancora di più per quanto riguarda le emozioni.

Il team dei Georgia Bulldogs che nel 2006 vinse il titolo NCAA indoor. Si riconosce un giovane John Isner

Il titolo più importante di John Isner è stato il Masters 1000 di Miami, conquistato nel 2018

Dopo averlo ripulito di tecnica e di testa, un soddisfatto Boynton disse: “John potrebbe giocare anche dieci ore di fila”. Non immaginava neanche lui che sarebbe successo davvero nella folle partita di Wimbledon, su un campetto in grado di ospitare 782 spettatori. Un campetto laddove oggi sorge una targa in onore a lui e Nicolas Mahut. Molti diranno che il suo tennis non mancherà: ok, non è mai stato il giocatore più divertente, ma bisogna dargli atto di aver sviluppato una tecnica perfetta con il servizio e il dritto. Tirare dal terzo piano era un vantaggio, ma non si scagliano oltre 14.000 ace senza una meccanica adeguata. E lo stesso vale per il dritto, una sassata quasi priva di rotazione. Più in generale, è durato così a lungo anche in virtù di una gestualità essenziale e la capacità di curare il fisico. Fosse stato solo un grezzo picchiatore non avrebbe fatto benino anche sulla terra battuta, con tanto di una vittoria contro Roger Federer in Coppa Davis, in trasferta. O come quella volta al Roland Garros, quando si trovò avanti due set a uno contro Rafael Nadal. In quanti possono dire di essersi trovati in questa situazione? Però è vero: più che il giocatore, mancherà la persona: in poche ore, il suo account Instagram è stato travolto da messaggi trasversali di stima e affetto. Quest'anno aveva avuto un netto calo di rendimento, uscendo per la prima volta dai top-100. Chissà quando ha scelto di dire basta: forse quando ha perso all'esordio al torneo amico di Atlanta, laddove si era imposto sei volte. “Se non riesco a vincere nemmeno qui – deve aver pensato – è meglio lasciar perdere”.

Dopo New York potrà dedicarsi alla famiglia, visto che con la moglie Madison McKinley (sposata il 2 dicembre 2017) ha messo al mondo quattro figli. Forse rimarrà nel tennis, anche perché c'è il suo zampino nell'organizzazione del torneo ATP di Dallas. Secondo Wikipedia, il concetto di American Dream si esprime così: “Il Sogno Americano è la speranza che attraverso il duro lavoro, il coraggio e la determinazione sia possibile raggiungere un migliore tenore di vita e la prosperità economica”. Per qualche anno, John Isner è stato l'unico appiglio per un American Dream tennistico. L'unica luce in anni bui, prima che arrivasse la generazione attuale a riaccendere le speranze. Forse si è reso conto di aver esaurito il suo compito, e dunque è meglio dedicarsi ad altro. “Qualcosa di lui che non si sa? - chiesero a Boynton una dozzina d'anni fa – adora gli animali, è delizioso verso gli esseri indifiesi. Se vede un cane per la strada, si ferma sempre a dargli una mano. Che sia una semplice carezza o la possibilità di fare qualcosa di più”. Per questo, nessuno si è sopreso quando – anni dopo – è diventato il primo tennista di sempre a essere sponsorizzato da una marca di cibo per cani, Nulo Pet Food. Più sorprendente una sua rivelazione durante il torneo più importante della sua carriera, Wimbledon 2018. In un'epoca di massima professionalità e attenzione a ogni dettaglio... arrivò in semifinale mangiando una barretta di Kit Kat dopo ogni partita. Nemmeno il fascino dei Championships ebbe la meglio sul piacere della cioccolata. In fondo, è più divertente ricordarlo così.