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WIMBLEDON

Mister Seconda Settimana

Disinnescando il servizio di John Isner (comunque autore di 24 ace), Jannik Sinner centra la seconda settimana a Wimbledon. Dopo Berrettini, diventa il secondo azzurro a centrare almeno gli ottavi in tutti gli Slam. Non è un mostro di creatività, ma sta implementando la giusta varietà al suo tennis. E adesso c'è Alcaraz...

Alessandro Marinaro
2 luglio 2022

La voce di velluto di Kader Nouni, l’umpire a cui più di uno, negli anni scorsi, ha dato del Barry White del tennis chiude i tre set dello scontro tra facce gentili sul Campo 2, che non è più l’ormai, prima declassato, poi demolito cimitero dei campioni. Six-four, seven-six, six-three, spedendo il nostro, di ragazzo gentile, quello di sedici anni più giovane dell’altro, al suo primo ottavo di finale ai Championships. Da decima testa di serie, da italiano più giovane agli ottavi nell’Era Open, e con tre solidi match in cui regola l’ormai ex animale Wawrinka e l’ancora indigesto ai più Isner. Sotto gli occhi di due grandi master tacticians australiani, Cahill (ingegnere dell’ultimo Agassi e del primo Hewitt) da una parte e MacPherson (coach dei gemelli Bryan, anch’essi presenti sul n. 2) dall’altra, Sinner ci fa vedere, per l’ennesima volta, di possedere una testa pensante e di non avere problemi ad usarla. Forse anche grazie al cervello scacchistico di Cahill nella sua preparazione all’erba di quest’anno, il tirolese riesce perfettamente a bagnare le polveri a un opaco Isner, a sua volta poco lucido tatticamente e a corto di opzioni. Opaco, naturalmente, anche a causa di un piano tattico perfettamente applicato dall’avversario. Se mai ci fossero mai stati dubbi, il ragazzo gentile delle Dolomiti, coi capelli del colore di un nichelino (come Agassi, o chi per lui, descrive quelli del primo Boris Becker in Open) si dimostra serio, affidabile, solido.

A vent’anni è un habitué dei piani alti del circuito, si comporta e si muove da tale. Niente di nuovo. A chi lo accusa di non aver ancora prodotto deflagrazioni epocali come quelle dell’Alcaraz di quest’anno, lui preferisce rispondere con il duro lavoro. Lavoro che traspare evidentemente da un gioco sempre affidabile e controllato, ma ormai non più monotono. Mai creativo, ma almeno vario. Rendersi più imprevedibile (o meglio, meno prevedibile) era trai suoi obiettivi dichiarati, e ci sta riuscendo. Sinner adesso varia la posizione in risposta, in latitudine e longitudine, dimostra costantemente manualità in recuperi sotto rete e palle corte, che infligge regolarmente ai due metri e otto di Isner. Prende più rischi, rigorosamente calcolati. Meravigliose le solite frustate sulle diagonali strette, oltre a certe risposte vincenti tirate in braccio al giudice di linea. Dà l’impressione di non soffrire il gioco spezzato a cui l’americano (che pure ha tirato 24 aces) costringe gli avversari e i tempi sulla palla, al solito, appaiono perfetti. Pare tremi un po’ nel secondo, ma è secondo a pochi nella gestione di punteggio, nervi e situazioni. Mi rivolgo ad eventuali impazienti, malpensanti e/o incompetenti (si può dire?): le deflagrazioni arriveranno, ma arriveranno a modo di Jannik, con costanza, gentilezza, perseveranza e duro lavoro.

ASICS ROMA

Jannik Snner al lavoro con il suo super-coach Darren Cahill

Per quanto riguarda l’americano, gli americani e l’America. In singolare, l’ultimo campione Slam e numero uno rimane Roddick, altro cappellino e altra faccia ingenua delle grandi praterie. Sampras e Agassi troppo lontani, come in Fiume Sand Creek, sulla pista del bisonte. Dopo più di un secolo da superpotenza, l’Unione è ancora tale solo per ampiezza e spessore del movimento tennistico (oltre che alla base enorme di praticanti) dall’avviamento fino ai college, che consente numeri sempre altissimi di giocatori tra i primi cento e addirittura sedici (!) nello scarso main draw di quest’anno. I fenomeni del passato non si ripresentano, ma nel frattempo, gli americani meglio piazzati sul tour si rivelano elementi preziosissimi (forse indispensabili) nella protezione della biodiversità (o di quel che ne è rimasto) del gioco moderno, forse con l’eccezione del meno storto e più anonimo Fritz. Soprattutto alcuni a livello tennistico, ma tutti, sicuramente, a livello umano. Lo stesso Long John Isner, con la faccia da bambino a 37 anni e con la sua serie di record tanto bizzarri quanto difficili da eguagliare. Penso ai 13729 (tredicimilasettecentoventinove) aces, più di Karlovic e Ivanisevic, record assoluto stabilito proprio contro Sinner, alla partita di tre giorni vinta (70-68 al quinto) con il povero Mahut nel 2010, o alle tre finali di doppio consecutive con tre compagni diversi.

Oltre Isner anche Opelka. L’altro gigante gentile, quello con la barba, riflessivo e quasi più interessato alle gallerie di arte moderna che ai tornei. Quelli che alla fine sembravano sintomi di una pericolosissima e appiattente epidemia di serve bot si sono invece rivelati delle specie di giraffe in via di estinzione e quindi, da proteggere. Per non parlare di altri preziosissimi chiodi storti (per dirla alla Cresto-Dina), della bonomia di Tiafoe, che (ahimè) rimane uno dei pochissimi afrodiscendenti a popolare i gradini più alti del ranking. Poi l’ingenuità quasi spaesata del picchiatore Sock, agli ottavi con la pancetta da birra e l’omonimo calzino d’oro che pende dalla catenina al collo, i baffi da pornostar anni ‘80 di Johnson. C’è anche la varietà di soluzioni, ancora troppo incostante, di Brooksby, e gli altri giovani come Nakashima e Korda, signore come pochi. Serve una parentesi apposta per l’eroe romantico Cressy, il chiodo più storto di tutti, francese d’America con il suo serve and volley e il suo libricino verde. Con la speranza che, a prescindere dai risultati, abbia una carriera il più lunga possibile e che, soprattutto, tanti ragazzini e ragazzine lo vedano giocare. Sarà un caso che Taylor Townsend da Chicago, altro meraviglioso chiodo storto col pallino della rete, forse unica nel circuito femminile, sia americana anche lei?

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