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La WTA vuole (o deve?) fidarsi della Cina

Steve Simon, presidente WTA, assicura che non ci saranno “casi Adria Tour” nel circuito femminile, e si dice ottimista sulla possibilità di giocare in Cina in autunno. “Decideranno i governi, ma mi sembra che stiano gestendo bene il tutto”. Ma è un'esigenza soprattutto economica. Intanto rilancia sulla fusione ATP-WTA. 

Riccardo Bisti
27 giugno 2020

Proviamo a immaginare uno scenario. I circuiti ATP-WTA riprendono, e magari arrivano a ospitare partite importanti. Per esempio, le WTA Finals. Ipotizziamo che Serena Williams e Naomi Osaka giungano in finale. Prima di scendere in campo, una delle due avverte sintomi compatibili con il COVID-19. E che il test dia esito positivo. A quel punto, le linee guida mediche imporrebbero il ritiro e il torneo finirebbe così. Lo scenario si può estendere a qualsiasi torneo, Slam compresi, ed è il rischio principale che ci attende alla ripresa del tennis giocato. Nonostante le conseguenze economiche (e d'immagine, come ha confermato il recente caso dell'Adria Tour), la WTA è ben decisa a non far correre rischi inutili alle giocatrici. Lo ha confermato il presidente Steve Simon parlando con il Times. “Se qualche giocatrice risultasse positiva, dovrebbe essere immediatamente ritirata dal torneo per la sicurezza e la salute di tutti.

Non si può giocare a tennis dopo essere risultati positivi. Abbiamo già predisposto una serie di protocolli da rispettare: modalità dell'isolamento, cure immediate e una valutazione dell'approccio medico”. Il circuito femminile ripartirà tra poco più di un mese, il 3 agosto, con il Palermo Ladies Open (tra le giocatrici più importanti sono attese Maria Sakkari e Camila Giorgi): di sicuro non si ripeteranno le scene viste in Serbia e Croazia. In ciascun torneo ci saranno test regolari, mascherine e regole di distanziamento. Non saranno tollerati comportamenti scorretti. “Dovremo attuare una gestione rigorosa, allentando o restringendo le norme in base a quello che vediamo, ai tassi di contagio e alla sede dei tornei”. Il circuito femminile ha una problematica in più: sette tornei autunnali sono previsti in Cina, compresa una tappa a Wuhan, laddove è partito il tutto.

"Se osserviamo cosa succede in Cina, mi pare che stiano gestendo tutto molto bene. A Pechino c'è stato un focolaio e hanno subito chiuso tutto. Non sono sicuro che l'Asia sia un posto pericoloso" Steve Simon

Il film del China Open 2019, vinto da Naomi Osaka

Simon precisa che lo svolgimento dei tornei dipende dall'approvazione del Governo, ma è convinto che ci saranno le condizioni adeguate. “ Gli organi governativi dovrebbero darci il permesso: bisognerà avere l'autorizzazione a viaggiare senza essere sottoposti a quarantena, poi ovviamente le autorità mediche valuteranno lo stato dell'epidemia. Se osserviamo cosa succede in Cina, mi pare che stiano gestendo tutto molto bene. A Pechino c'è stato un focolaio e hanno subito chiuso tutto. Non sono sicuro che l'Asia sia un posto pericoloso, soprattutto se paragonata a cosa sta succedendo in America. Da noi non c'è lo stesso controllo. Credo che sarà un modello da seguire”.

La notizia è che i tornei asiatici sono in calendario, ok, ma risultano ancora sub-judice. “In Asia c'è una grande fetta della WTA: li sosteniamo, non abbiamo paura di tornarci a giocare. Ma prima che accada devono ancora accadere un po' di cose”. Non lo dice esplicitamente, ma la verità è che le casse dell'associazione dipendono in gran parte dai proventi cinesi. Prendiamo le WTA Finals: nel 2018 è stato raggiunto un accordo decennale con Shenzhen, valutato quasi un miliardo di dollari. Il torneo mette in palio un montepremi di 14 milioni, quasi il doppio del Masters maschile, mentre la vincitrice ne porta a casa 4,75. Cifra record. In tempi di incertezza finanziaria, questo denaro risulta ancora più importante. “Non ci sono dubbi che l'Asia e la Cina abbiano un valore per noi. Come ogni altra azienza, la WTA è stata colpita dal dilagare dell'epidemia. Anche noi avremo un buco, ma la domanda è: quanto sarà grande? Per fortuna abbiamo una strategia che ci consentirà di sopravvivere. Se il circuito riparte, il recupero sarà veloce. Se non ripartierà, sarà più lento. Ma in ogni caso ne usciremo”.

Steve Simon è amministratore delegato WTA dal novembre 2015
  • 14 MILIONI
    Il prize money garantito dalle WTA Finals di Shenzhen, quasi il doppio rispetto alle ATP Finals. L'evento si giocherà in Cina almeno fino al 2028.

Sembra che Wimbledon sia stato l'unico organo tennistico ad essersi tutelato con un'assicurazione in caso di pandemia globale. Per questo, i Championships hanno chiuso i battenti con tre mesi d'anticipo, senza cercare ogni soluzione possibile come hanno fatto Us Open e Roland Garros. La WTA non aveva una copertura di questo tipo: “Devo ammettere che all'All England Club sono stati sia bravi che fortunati – dice Simon – noi non abbiamo nulla che ci copra dalle pandemie”. In assenza di tennis giocato, c'è stato molto spazio per le chiacchiere. Uno degli argomenti più dibattuti è la possibile fusione tra ATP e WTA, discussione inaugurata da un post Twitter di Roger Federer.

Negli ultimi mesi, le due associazioni hanno lavorato a stretto contatto. “Sono un forte sostenitore di questa idea – dice Simon – non cambierò mai la mia posizione, sarebbe la cosa più giusta sia per lo sport che per il business”. La sua posizione ricalca quella di Larry Scott, presidente WTA nei primi anni 2000 Si dimise nel 2009 proprio perché non riusciva a portare avanti il suo progetto. “Credo che il livello di comunicazione sia il migliore mai raggiunto, almeno da quando io sono presidente – rilancia Simon - penso che si possa andare avanti così. Abbiamo discusso sulla possibilità di riprendere a giocare, ma ora possiamo discurete più in profondità. Sono molto coinvolto nell'argomento e penso che si possa davvero fare qualcosa”.

Il China Open di Pechino dovrebbe giocarsi dal 12 al 18 ottobre