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PLAYER OF THE YEAR - THE COACH

L'uomo giusto al posto giusto: «La tecnica non mi interessa»

Non esisterebbe Daniil Medvedev senza la figura di Gilles Cervara. I due si conoscono dal 2014 e lavorano insieme dal 2017. Il tecnico francese ha trovato la chiave per domare il carattere bizzoso del suo allievo: “Se rifiuta le mie proposte, non insisto. Tanto so che prima o poi mi seguirà”

Riccardo Bisti
29 dicembre 2021

Daniil Medvedev sfugge a diversi luoghi comuni. Per esempio, è l'unico big a non avere l'aura del predestinato. Fateci caso: i Big Three più Andy Murray sono nati e cresciuti sotto la luce dei riflettori. Tra servizi TV quando erano ancora bambini e wild card più o meno premature, hanno saltato a piè pari gli anni della gavetta. Anche chi è arrivato dopo: Alexander Zverev e Stefanos Tsitsipas si erano fatti notare sin da quando erano junior. Al contrario Daniil sgomitava in mezzo al gruppo, per anni ha dovuto respirare la polvere dei Challenger e degli ITF. Un gregario con ambizioni da capitano, ma senza la certezza di averne le qualità. “Daniil non era nemmeno sicuro di poter entrare tra i top-30” dice Gilles Cervara, l'uomo che lo conosce da quando ha messo piede in Francia e lo segue in via esclusiva dal 2017. Non ci sarebbe il Medvedev attuale senza il tecnico francese, l'uomo partito dal nulla che sta facendo in panchina quello che a Daniil riesce in campo: abbattere i luoghi comuni. Non ha grandi maestri alle spalle, non ha particolare esperienza, adotta metodi e sistemi molto personali. Spesso fa il contrario di quello che predicano diversi coach più famosi di lui. Ma anche la sua storia nasce da lontano.

Les Yeux dans les Bleus è un documentario che racconta l'avventura della nazionale di calcio francese ai Mondiali del 1998, chiusi con la magica finale contro il Brasile. “C'è un'immagine che mi è rimasta impressa quando Daniil ha vinto lo Us Open – racconta – dopo l'ultimo punto, ho alzato spontaneamente le braccia, proprio come si vede in quel film. Sono cresciuto guardando e sognando quelle immagini, finalmente le ho vissute sulla mia pelle”. Nato il 2 gennaio 1981, quando Didier Deschamps sollevò la Coppa del Mondo aveva 17 anni e sognava di diventare un professionista del tennis. Era bravino, ma non abbastanza. Ha lasciato gli studi e ha provato a planare nel professionismo, ma gli archivi raccontano di un approccio fallimentare: appena 14 tornei ITF, spalmati tra il 1999 e il 2006. Non ha mai vinto due partite nello stesso torneo. Aveva il livello un onesto seconda categoria. La lunga gavetta gli ha portato due benefici: 1) Che fosse reale desiderio o necessità, ha capito che la sua vera vocazione era il coaching. 2) Ha immagazzinato decine di nozioni, formando il suo stile. Nel 2008 è passato dall'altra parte della barricata, prima come sparring partner di ottimi giocatori, compresi Jo Wilfried Tsonga e Marat Safin.

ASICS ROMA
"Non mi interessano i bei colpi, ciò che conta è colpire la palla al momento giusto e metterla dove vogliamo"
Gilles Cervara

Una simpatica intervista doppia con protagonisti Gilles Cervara e Daniil Medvedev

La svolta è arrivata nel luglio 2013, quando ha fondato L'Elite Tennis Center di Cannes insieme all'ex professionista Jean-Renè Lisnard. Il primo incontro con Medvedev risale al 2014, il primo torneo insieme fu a Marsiglia nel 2015 (“Il suo coach ebbe un impedimento dell'ultim'ora, così mandarono me”), poi i due si sono lentamente avvicinati fino a decidere di intraprendere un percorso esclusivo. Uno per tutti, tutti per uno. Lo slogan da D'Artagnan e Moschettieri del Re è perfetto, non tanto perché continuano a fare base in Francia, ma perché la prima intuizione di Cervara è stata la necessità di costruire un team. In Medvedev aveva visto talento, ma anche tanta disorganizzazione. Così sono arrivati un preparatore atletico, un nutrizionista, un fisioterapista e una psicologa. Durante la finale dello Us Open, Francisca Dauzet era l'unica ad avere accesso al box, insieme a Cervara e alla moglie Dasha.

Durante la finale dell'Australian Open gli mancava un aspetto invisibile, energetico. Non direi che fosse mentale, però non era ancora all'altezza – dice Cervara – pensava che le prestazioni nei quarti e in semifinale fossero sufficienti, ma era un errore. La Dauzet lo ha notato nel briefing prima della finale dello Us Open. E stavolta era pronto”. La filosofia di Cervara è molto particolare, forse l'unica che può funzionare con cavallo pazzo Medvedev: non gli impone nulla. “Quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, gli ho detto che non poteva vincere giocando così lontano dalla linea di fondo, perché così avrebbe aperto troppi angoli – racconta – gli ho suggerito di stare più vicino al campo, ma inizialmente ha rifiutato. Credo di aver avuto l'intelligenza di mettermi nei suoi panni, alla fine ha pagato”.

Gilles Cervara è stato nominato "Coach dell'Anno" nel 2019

Le considerazioni di Gilles Cervara raccolte dal canale Youtube di Tecnifibre

La formula magica del cocktail Medvedev-Cervara è semplice: priorità ai rapporti umani. “Oggi vedo tanta cattiveria nei rapporti umani, ma per me è giusto combinare anche dolcezza ed empatia. Credo che non ci sia nulla senza il suo opposto, yin e yang. Daniil non mi asseconda sempre, anzi. Quando rifiuta le mie proposte lo lascio stare, perché so che prima o poi le metterà in pratica. Mi ascolta e questo è sufficiente, anche se inizialmente non gli piace quello che dico”. Dopo le Olimpiadi, per esempio, hanno iniziato a sistemare alcuni aspetti del suo tennis. Sfumature invisibili al pubblico, ma poi decisive nel percorso verso il primo Slam. Come le seconde di servizio a tutta birra. Un altro concetto importante è quello di percorso. Il primo torneo, il primo Masters 1000, il primo Slam, la Davis... Cervara le vede come tappe di un percorso ben più ampio, che terminerà soltanto con il ritiro, tra più tempo possibile, magari dopo essere diventato numero 1 del mondo. “Anche questo può essere un obiettivo, anche se io sono sempre focalizzato sulla prestazione e su quello che viene il giorno dopo”. Nei giorni successivi alla sbornia di New York, mentre Medvedev riposava in vista della Laver Cup, lui era già al lavoro per impostare nuovi traguardi.

L'approccio di Cervara è molto personale: non segue gli allenamenti altrui, non spia i colleghi, non ha guru a cui affidarsi. E pensa che la tecnica sia un fattore secondario. “In effetti non mi interessa molto. Non mi interessano i bei colpi, ciò che conta è colpire la palla al momento giusto e metterla dove vogliamo. Più che il tennis, seguo gli sport da combattimento: essendo individuali, adottano strategie che possono servire anche nel tennis”. Con queste convinzioni, Cervara è diventato coach dell'anno nel 2019 e lo hanno nominato anche nel 2020 e nel 2021. Avrebbe meritato almeno un altro riconoscimento, ma hanno preferito privilegiare l'alternanza. A Cervara interessa poco, bada meno all'immagine e alla forma. “Nel team c'è chi si occupa degli aspetti manageriali e d'immagine, io devo seguire la parte tecnica” taglia corto, e in vista del 2022 ha le idee chiare. “Non credo che possa vincere il Roland Garros. Sulla terra, il rendimento di Daniil dipende all'80% dall'approccio: quest'anno è migliorato, ma non sono convinto che i suoi problemi di avvicinamento alla terra siano del tutto alle spalle. Al contrario, penso che possa vincere Wimbledon”. Attenzione: fino a oggi, il filosofo di Cannes non ne ha sbagliata una.