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ADDIO BISTECCONE

“Forza Davide, chiudi 'sto tie-break e andiamo tutti a cena”

Lo sport piange la scomparsa di Gian Piero Galeazzi. Telecronista e inviato, è stato il primo a sdoganare un certo tipo di telecronaca senza mai cadere nella volgarità o nell'urlo fine a se stesso. Nel tennis ha raccontato 30 anni di campioni facendosi apprezzare da tutti. Anche dalla concorrenza.

Riccardo Bisti
13 novembre 2021

Ormai la popolarità si misura con i social network. In quanto tempo una notizia si diffonde, espande e deflagra a suon di tweet e condivisioni. Su Twitter, la parola “Galeazzi” è stata la tendenza numero 1 nella giornata di venerdì. Qualche ora prima ci aveva lasciato Gian Piero Galeazzi (erroneamente chiamato Giampiero), storico telecronista RAI. Canottaggio, calcio e tennis lo hanno reso incredibilmente popolare. Quando arriva qualcuno a imitarti, è come aver superato il confine tra anonimato e fama. A scimmiottare Galeazzi fu Nicola Savino, ma l'onda di commozione popolare a seguito della sua morte fa capire quanto sia rimasto nel cuore della gente, pur avendo lasciato il microfono oltre dieci anni fa ed essersi progressivamente allontanato dai riflettori. Lo avevano relegato al ruolo di opinionista in trasmissioni senza troppo seguito, salvo poi progressivamente accantonarlo. Ma la gente no, non si era mai dimenticata di lui, e lo ha dimostrato in queste ore. Decine, centinaia di messaggi di affetto e di cordoglio. Forse l'affermazione sa di retorica, ma con Galeazzi se ne va un pezzo della nostra gioventù di appassionati.

Negli anni 80 era l'inviato della Domenica Sportiva sul campo principale della Serie A, ed era lui a intervistare i protagonisti prima e dopo le partite. “Se c'è lei, Galeazzi, significa che la partita è davvero importante” diceva l'Avvocato Agnelli. Le sue irruzioni negli spogliatoi della squadra scudettata sono rimaste nell'immaginario popolare. Poi ci fu la svolta pop negli anni 90: gli diedero la conduzione di Novantesimo Minuto negli ultimi anni in cui la trasmissione aveva senso, prima che il weekend di Serie A fosse triturato da anticipi e posticipi. Mara Venier (all'epoca conduttrice di Domenica In) ebbe l'intuizione di renderlo parte integrante della trasmissione. Sempre meno giornalista, sempre più showman, scatenando le invidie dei colleghi. Un sentiero senza ritorno: in diverse interviste, disse che al ritorno ai ranghi non gli fecero trovare neanche un posto in redazione. E poi c'era il canottaggio, sport che aveva praticato ad alti livelli, con la beffa della mancata partecipazione alle Olimpiadi di Città del Messico. Iniziò a lavorare un paio d'anni dopo, proprio con una radiocronaca di canottaggio, e con il suo stile ruspante e urlato ha sdoganato nel mondo mainstream personaggi come i fratelli Abbagnale o Antonio Rossi.

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Fu lui a coniare soprannomi che hanno resistito all'usura del tempo, come Tacchino Freddo per Stefan Edberg (era un mezzo dispetto per Rino Tommasi, che invece ne era un grande tifoso) fino al mitico turbo-rovescio per definire il colpo migliore di Paolo Canè.

Uno dei tanti tributi RAI dopo la scomparsa di Gian Piero Galeazzi

Non esiste appassionato di sport che non associ i trionfi di Seul 1988 e Sydney 2000 alla sua telecronaca che alzava i decibel metro dopo metro, vogata dopo vogata. Ma per noi del tennis, Bisteccone (soprannome affibiatogli da Gilberto Evangelisti di Radio Rai per la sua stazza) rimane l'uomo che ha reso nazional-popolare uno sport che sapeva ancora di aristocrazia. Aveva iniziato come bordocampista ai tempi di Guido Oddo, nella buca del Centrale del Foro Italico (oggi Stadio Pietrangeli). Rispetto al suo predecessore aveva maggiore conoscenza del gioco, oltre all'innata capacità di comprendere lo sport e le sue dinamiche. Quella ce l'hai o non ce l'hai, poco importa se commenti la finale olimpica dei 100 metri o un torneo di snooker. E Galeazzi ce l'aveva, anche se gli mancava la preparazione di Rino Tommasi e Gianni Clerici, inimitabili voci di una TV privata che negli anni 80 iniziò a rubare spazi alla sua amata RAI.

La prima Fininvest, poi Tele+2 (dopo la transizione su Tele Capodistria) arrivò a cannibalizzare il tennis negli anni 90, lasciando alla TV pubblica le briciole di quattro settimane di terra rossa (due di Roma, due del Roland Garros), tagliuzzate da esigenze di palinsesto, oltre alle partite di Davis dell'Italia. Ed era lì che dava il meglio, anche se era orfano di Adriano Panatta, con il quale a Roma e Parigi formava una coppia di peso (in tutti i sensi...) che effettuava lunghe dirette all'amatriciana. Ma si ascoltavano con piacere e raramente annoiavano. In Davis si emozionava e faceva emozionare, come in quel lunedì del 1990, quando raccontò agli italiani l'impresa di Paolo Cané contro Mats Wilander, in una mattinata che segnò un record di assenze scolastiche, tale da rivaleggiare con quelle delle mattinate di Coppa Intercontinentale in Giappone. Ma Bisteccone era sinceramente innamorato del nostro sport: adorava commentare il tennis perché non avvertiva la pressione che c'era nel calcio “Dove se mi azzardo a dare un giudizio si scatena un putiferio”.

Gian Piero Galeazzi al commento con Adriano Panatta e in compagnia di John McEnroe

Il momento più iconico nella carriera da telecronista tennistico di Galeazzi: l'epico punto che diede a Paolo Cané il 6-5 al quinto contro Mrs Wilander a Cagliari, nel 1990

Nel tennis poteva dire quello che voleva, e per lui non faceva differenza – davvero! - se c'era da commentare una finale (Milano 1998, la spalla rotta di Gaudenzi) o uno spareggio per restare nel Gruppo Mondiale, magari contro gli sconosciuti danesi (1991), ungheresi (1994) o finlandesi (1999). Il tennis non era sempre in cima ai suoi pensieri: è passata alla storia la sua fuga dal Foro Italico per andare a documentare lo scudetto della sua Lazio nel 2000. In realtà è un falso mito: per sua fortuna, Magnus Norman chiuse il match contro Guga Kuerten prima che finisse la partita di Perugia che condannò la Juventus a favore dei biancocelesti. Nessuna interruzione di servizio, insomma. Quella invece ci fu nel 1996, nel mitico weekend di Davis contro la Russia, in cui ospitammo Kafelnikov e company nel gelo del Foro Italico. La sfida andò per le lunghe, ma Galeazzi non commentò l'ultimo singolare tra Furlan e Chesnokov perché era impegnato con Domenica In. Nessuno lo rimproverò, almeno tra la gente, perché Galeazzi era così. Un buono, un sincero appassionato di tutto quello che faceva.

Col tennis aveva iniziato negli anni 70 e commentò da remoto la finale di Davis in Cile, con il successo azzurro spoilerato da Guido Oddo. “Ricevemmo decine di telefonate infuriate, i centralini ci dissero: 'Aò, che avete detto, che ha perso la Democrazia Cristiana?'”. La sua prima telecronaca da solo fu un match di Davis a Barcellona, vinto 3-2. Lui diceva 1979, in realtà era il 1977, ma da Galeazzi non ci si poteva aspettare il rigore matematico di Tommasi. Però fu lui a coniare soprannomi che hanno resistito all'usura del tempo, come Tacchino Freddo per Stefan Edberg (era un mezzo dispetto per Rino Tommasi, che invece ne era un grande tifoso) fino al mitico turbo-rovescio per definire il colpo migliore di Paolo Canè. L'aneddotica sarebbe infinita, ma è bello chiudere con una frase che sintetizza al meglio il Galeazzi amato dalla gente. Settembre 1998, Milwaukee: Davide Sanguinetti sta giocando uno dei suoi match migliori e sta per darci il punto del 2-0 nella semifinale contro gli Stati Uniti. In Italia è l'1 di notte, in Wisconsin le 19. “Forza Davide, chiudi 'sto tie-break e andiamo tutti a cena”. Ciao Bisteccone, ci mancherai.