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NITTO ATP FINALS

Coraggio, Matteo

Un improvviso infortunio ai muscoli addominali costringe Matteo Berrettini ad abbandonare il match contro Zverev. Lascia tra le lacrime ed è improbabile che torni in campo. Molti hanno pensato alla spalla di Gaudenzi nel 1998, ma Matteo avrà altre chance. Adesso è il momento di Sinner.

Riccardo Bisti
15 novembre 2021

Che crudeltà: il Masters di Matteo Berrettini potrebbe essere già terminato. Il romano aveva giocato un gagliardo primo set contro Alexander Zverev, ed era al servizio sul 6-7 0-1 in un Pala Alpitour sorprendentemente pieno (a giudicare dal colpo d'occhio, difficile credere che non sia stato superato il 60% della capienza: tanti possessori di biglietti annullati sono ugualmente entrati in virtù della razionalizzazione degli ingressi. La questione meriterà approfondimenti). A un certo punto, ha avvertito un dolore al muscolo addominale. “Non so se sia esattamente lo stesso infortunio patito in Australia, ma la zona è quella” ha ammesso Berrettini ai giornalisti, col volto scuro e gli occhi gonfi, dopo che sul campo si era abbandonato alle lacrime e nemmeno l'affettuoso abbraccio di Zverev era riuscito a consolarlo. Una disdetta atroce, “il giorno più brutto da quando faccio il tennista”. Solitamente lucido, nella conferenza stampa post-match era un Berrettini distrutto.

Per sua stessa ammissione, pensieri e parole non andavano necessariamente nella stessa direzione. E gli si può perdonare un po' di confusione comunicativa: “Vediamo il referto medico, mi piacerebbe continuare a vivere questa fantastica atmosfera e scendere ancora in campo nel prossimo match, anche se fossi al 60%”. Qualche minuto dopo, però, ammette che non giocherà se non dovesse avere la sensazione di poter vincere. L'appiglio è minuscolo, ma c'è: il dolore non è stato intenso come quello patito a Melbourne, nel match contro Karen Khachanov. Con coraggio, e grazie all'ingenuità del russo, vinse ugualmente ma poi avrebbe rinunciato al match successivo e si sarebbe fermato per un paio di mesi. Inevitabile fare un confronto, anche perché giocare da infortunati è un rischio enorme. Spiace perché le ATP Finals erano una priorità assoluta per Berrettini, ancor più delle Davis Cup Finals (che in questo momento sono in forte dubbio). Molto attento alla storia, Berrettini aveva annusato la possibilità di fare qualcosa di inedito.

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Ti rendi conto che non c'è nulla da fare, ti crolla il mondo addosso e avverti una delle sensazioni peggiori possibili per un essere umano: l'impotenza.

L'infortunio di Matteo Berrettini e il conseguente ritiro

In fondo la Davis l'abbiamo già vinta, mentre lui è già l'unico italiano ad aver vinto una partita al Masters, laddove Panatta e Barazzutti fecero poco più che le comparse. E il torneo non esisteva ai tempi di Pietrangeli. Nonostante un sorteggio un po' carogna, sperava di arrivare in semifinale e magari scrivere una bella impresa proprio in Italia, con un pubblico caldissimo pronto a dargli sostegno morale e vocale. Nella sua testa aveva immaginato scenari di gloria, aveva rinunciato a Parigi Bercy per prepararsi al meglio, aveva studiato tutti nei minimi dettagli e aveva un clan di una quindicina di persone. Stava giocando bene, al punto da avere due setpoint sul 6-5 nel primo (brutta risposta sul primo, servizio vincente di Zverev sul secondo. Era fuori, ma Matteo non ha chiesto la verifica elettronica). È sfumato tutto in un attimo, in una sensazione fisica subdola, perché non è stata rumorosa e nemmeno evidente.

L'ha sentita solo lui ed è stato un momento sportivamente atroce. Ti rendi conto che non c'è nulla da fare, ti crolla il mondo addosso e avverti una delle sensazioni peggiori possibili per un essere umano: l'impotenza. Matteo ha lasciato cadere per terra la racchetta, non sapeva se piangere o disperarsi. Ha chiesto l'intervento del fisioterapista, ma nemmeno lui ha sperato nel miracolo. Ha ripreso la racchetta in mano, ha sparato in corridoio l'ultimo dritto e allora sì, ha lasciato scorrere i suoi sentimenti. Si è piegato in due, travolto dalle emozioni. Zverev ha capito e lo ha abbracciato, sussurrandogli che non sarebbe stata la sua ultima partita su questo campo. Salvo recuperi miracolosi, il Masters di Berrettini è finito qui e forse anche il suo 2021. Una stagione dai mille volti, bellissima ma tribolata. L'infortunio di febbraio, la rinuncia alle Olimpiadi e questo incidente si accompagnano alla scintillante finale di Wimbledon, i quarti a Parigi e New York e due titoli ATP, oltre alla sensazione di essere a pieno titolo uno dei più forti del mondo.

Matteo Berrettini piegato in due, più dalla delusione che dal dolore

"Il giorno più brutto che abbia mai vissuto su un campo da tennis"

Il dovere di cronaca impone di ricordare che gli appassionati potranno continuare a tifare per un italiano: martedì scenderà in campo Jannik Sinner, forte di una nona posizione che gli garantiva il ruolo di prima riserva. Qualcuno sperava che entrasse al posto di uno Tsitsipas un po' acciaccato, invece ci sarà un passaggio di consegne tutto italiano: l'altoatesino partirà con un grosso handicap, perchè il numero di match giocati sarà la prima discriminante in caso di arrivo a pari punti. Per passare il turno dovrà necessariamente battere Hurkacz e Medvedev, oltre a sperare in una complicata combinazione di risultati. Di sicuro, una sola vittoria non basterebbe. In 50 anni di Masters, non è mai capitato che un alternate si qualificasse per le semifinali. Ma ci sarà tempo per parlarne, così come Sinner avrà altre occasioni per presentarsi a Torino da protagonista. Adesso è difficile distogliere il pensiero dal dramma sportivo di Matteo Berrettini. Ed è difficile essere positivi dopo le scene di domenica sera, simboleggiate dall'emoticon con faccina triste con cui Zverev ha autografato la telecamera dopo il ritiro dell'azzurro. Ma ci proviamo.

Molti hanno paragonato l'infortunio di Matteo alla spalla di Andrea Gaudenzi, che fece clac il 4 dicembre 1998 nel singolare d'apertura della finale di Coppa Davis. Anche allora c'era grande attesa, anche allora c'era la diretta RAI (Rai Due, proprio come oggi), e Gaudenzi aveva 25 anni come Berrettini. C'è però una differenza enorme, che può far sperare: allora non lo diceva nessuno, ma tutti sapevano che non ci sarebbe stata una seconda possibilità. Gaudenzi aveva già dato il meglio e quella squadra era al tramonto di un ciclo (l'anno dopo si salvò per un pelo e nel 2000 retrocedette). C'era la frustrazione per aver accarezzato un sogno, mista alla certezza che non ci sarebbero state altre opportunità. Stavolta è diverso: i 25 anni di Berrettini sono diversi da quelli di Gaudenzi, la sua carriera è ancora in fase ascendente e ci sono tempi e spazi per tornare protagonista, raggiungendo vette mai toccate nella storia del tennis italiano. Oggi è difficile pensarla così. In una notte insonne, Berrettini sarà travolto da spettri di ogni genere. Ma quando il tempo lenirà la delusione, capirà. E ripartirà.