The Club: Bola Padel Roma
ROLAND GARROS

Tabù doppio: ha senso tenerlo in vita?

I tabelloni di doppio rappresentano soltanto un costo per gli organizzatori, ma non contribuiscono alla vendita dei biglietti: che fare? Anche tra i giocatori c'è imbarazzo sull'argomento, perché i migliori guadagnano decisamente troppo. Ma non si può certo abolire una disciplina storica...
Riccardo Bisti
26 febbraio 2020

Martedì 18 febbraio, anonima seconda giornata del torneo ATP di Marsiglia, gli spalti del Campo 1 erano pieni. In campo c'era un doppio con i campioni in carica del Roland Garros, i tedeschi Kevin Krawietz e Andreas Mies. Tutto normale, giusto? Mica tanto: il pubblico faticava a distinguerli, mentre gli occhi erano tutti per la coppia avversaria. I tedeschi sfidavano i fratelli Tsitsipas, con Stefanos accompagnato dal giovanissimo Petros (n.1292 ATP). È la fotografia attuale del doppio, specialità tanto spettacolare quanto snobbata dai media. Non interessa a nessuno e rappresenta soltanto un costo per gli organizzatori. A parte i (rari) casi di coppie che hanno varcato i confini del mainstream, i doppisti sono personaggi soprattutto anonimi. Nessuno mette in discussione il doppio, la sua storia, la sua spettacolarità, la sua dignità agonistica. Tuttavia, in un momento in cui i tennisti si stanno battendo per ottenere sempre più soldi, soprattutto per migliorare la vita dei giocatori non compresi tra i top-100 ATP, è una viva incongruenza rendersi conto che ci sono una serie di giocatori – il cui livello è inferiore – che vivono nell'opulenza grazie a una disciplina che veleggia nell'anonimato, trascurata dai migliori. Se andiamo ad analizzare il prize money storico, di cui fanno parte oltre 25.000 tennisti, si scopre che nella top-100 “all-time” ci sono alcuni doppisti. Il più ricco di tutti è Mike Bryan, 41esimo assoluto (ha guadagnato qualcosa in più di Bob perché ha proseguito l'attività nel 2018, quando il gemello si è infortunato all'anca), poi troviamo Daniel Nestor e altre figure. Pur avendo uno spirito vagamente “socialista”, l'ATP ha contribuito a creare un modello economico piramidale, in cui un'enorme fetta del denaro in palio finisce nelle tasche di pochi campioni. Però c'è una scappatoia, scelta da sempre più giocatori che hanno fallito con il singolare: provarci con il doppio, la cui crescita non è proporzionale all'interesse suscitato.

Nel commercio, quando un prodotto non vende, lo si toglie dagli scaffali”
Gerard Tsobanian

L'ultima finale di Wimbledon, vinta dai colombiani Robert Farah e Juan Sebastian Cabal

Al recente Australian Open, il montepremi del doppio è salito del 9,4% (rispetto al 13,6% dell'intero torneo). Buon per loro, ma – onestamente – quanti di voi riconoscerebbero Rajeev Ram e Joe Salisbury per la strada? Radio spogliatoio informa che diversi singolaristi (soprattutto quelli che lottano per sbarcare il lunario) non siano contenti della situazione. Per ora i mugugni restano tali, ma c'è un'altra categoria che inizia a stufarsi: i direttori dei tornei, seccati dall'onere finanziario che necessità il doppio, per nulla proporzionale ai benefici. Senza dimenticare che inserire i match di doppio nella programmazione giornaliera è piuttosto complicato“I doppisti sono un peso per noi – dice senza mezzi termini Gerard Tsobanian, direttore del Masters 1000 di Madrid – sfruttano il sistema ma non ci fanno vendere un singolo biglietto, pur avendo esigenze simili a quelle dei singolaristi. Per noi è soltanto una spesa, non c'è alcun ritorno sugli investimenti. Nel commercio, quando un prodotto non vende, lo si toglie dagli scaffali”. Ha detto la sua anche Francois Caujolle, numero 1 del torneo ATP di Marsiglia (in passato aveva diretto anche Parigi Bercy e Nizza). A suo dire, il tennis non è gestito in modo puramente commerciale, il che favorisce i doppisti. “Anche se il doppio, per come è organizzato oggi, non vale più molto. Ne discutiamo da anni, ma che possiamo fare? Non possiamo mica dire ai doppisti di uscire dal circuito perché non sono redditizi. Sarebbe un gesto razionale, ma non si può portare alla disoccupazione un'intera categoria di giocatori. Anche loro fanno parte della famiglia del tennis. Si tratta di un argomento tabù: anche tra loro, i tennisti non ne parlano...”. Per l'ATP è una delle tante situazioni di imbarazzo. Come è noto, si tratta di un sindacato che difende sia gli interessi dei giocatori che quelli dei tornei, anche se i tennisti puntano a un sindacato autonomo per perseguire soltanto i propri obiettivi. Chissà se ci riusciranno. Nel frattempo, l'unica riforma del doppio risale al 2006, sotto la presidenza di Etienne De Villiers. Allo scopo di attirare i migliori singolaristi, il format del doppio è stato modificato: aboliti i vantaggi (sul 40-40 si gioca il punto decisivo) e il terzo set, sostituito da un super tie-break. In effetti i match si sono accorciati, ma i big non si sono riavvicinati. E la specialità continua a vivacchiare.

"Non si può portare alla disoccupazione un'intera categoria di giocatori. Anche loro fanno parte della famiglia del tennis. Si tratta di un argomento tabù: anche tra loro, i tennisti non ne parlano...”
Jean Francois Caujolle

Sono stati fatti alcuni sforzi per promuovere il doppio sui canali ufficiali dell'ATP, ma la stampa mainstream non ha mai recepito il messaggio, limitandosi a qualche articolo sparso, più per riflettere sullo stato di salute della specialità che per esaltarne i protagonisti. Jamie Murray sostiene che i tornei dovrebbero rivolgersi anche ai doppisti per le attività promozionale, il che avrebbe due effetti benefici: attirare nuovi sponsor e creare maggiore riconoscibilità. Per ora non funziona, salvo alcune eccezioni. La verità è che gli unici a veicolare un certo interesse sono i big, a prescindere di ciò che fanno. Si spiega così il caso di Marsiglia, con la curiosità attorno ai Tsitsipas Brothers. Il problema è che i migliori non hanno l'interesse economico a dedicarsi al doppio: in passato, con meno soldi in palio, i migliori erano invogliati a giocare il doppio con costanza. John McEnroe ne è stato un grande esponente, l'ultimo super-big a giocarlo con regolarità è stato Yevgeny Kafelnikov. Oggi non c'è interesse, e forse neanche il tempo, per giocare il doppio con costanza (salvo le gare a squadre, in cui diventa spesso decisivo). E allora, quale sarà il futuro del doppio? Ritroverà l'antico prestigio, smettendo di essere un “Piano B” per i tennisti che hanno fallito in singolare, o l'anticamera della pensione per chi non ce la fa più ma non vuole ritirarsi? Secondo Gerard Tsobanian, una soluzione potrebbe essere la riduzione dei tabelloni. Con meno coppie e meno partite, oltre all'accesso per tennisti che vantano una classifica minima in singolare, si potrebbe riaccendere l'interesse. Da un lato potrebbe funzionare, ma dall'altro costringerebbe tanti specialisti che sopravvivono col doppio a lasciare strada a chi ne ha meno bisogno. E allora si torna al dubbio iniziale: meglio avere giocatori di nome ma senza motivazione, spedendo verso la disoccupazione gli sconosciuti, oppure mantenere l'equilibrio attuale? Difficile trovare una risposta. Probabilmente resterà tutto così.

I gemelli Bob e Mike Bryan sono tra i pochi specialisti del doppio ad avere notorietà globale
ASICS ROMA