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LA STORIA

Quando una morte ti cambia la vita (tennistica)

Molti pensano che Agustin Velotti sia uno dei tanti “bidoni”, ex promesse incapaci di confermarsi tra i professionisti. In realtà ha sofferto una tragedia che ne ha bloccato la carriera nel suo miglior momento. Oggi ha quasi 29 anni e ci crede ancora, forte dell'aiuto di Carlos Berlocq.

Riccardo Bisti
1 marzo 2021

Oggi è un giorno importante per Agustin Velotti. Alle 15 italiane, scenderà in campo per l'ultimo turno delle qualificazioni al torneo ATP di Buenos Aires. Dovesse battere Francisco Cerundolo, tornerebbe nel tabellone principale di un torneo ATP dopo quattro anni d'assenza. In oltre dieci anni di carriera, ha raggiunto questo traguardo soltanto quattro volte. E pensare che c'erano ben altre premesse in quel pomeriggio di giugno 2010, quando vinse il Roland Garros junior. Qualche ora prima, tra le ragazze si era imposta Elina Svitolina. Talvolta il confine tra campione e bidone può essere molto sottile, ma chi pensa che l'argentino abbia vissuto con disagio i successi dell'ucraina, mentre lui non è mai andato oltre il numero 166 ATP, si sbaglia. Velotti non ha superato il confine per ragioni più dure, profonde. Una tragedia ha cambiato la sua vita e la sua carriera. Velotti è nato e vive ancora a Corrientes, a un tiro di schioppo da confine col Paraguay. Ha iniziato a giocare a sette anni presso il Corrientes Tennis Club, più per inerzia che per reale volontà.

La madre giocava a padel e se lo portava dietro, ma lui si annoiava a morte. Così gli diedero una racchetta e iniziò a tirare pallate contro il muro. “Era un modo per passare il tempo mentre aspettavo mia madre, nulla di più”. Tra gli avventori del club, qualcuno aveva un occhio più fine di altri. Capì che il ragazzo aveva talento e gli consigliarono di andare a Resistencia, al di là del fiume Paranà, laddove c'era un allenatore a capo di un'accademia di buon livello: Ruben Re. “All'inizio andavo da lui una volta a settimana, al sabato, poi tre volte, infine tutti i giorni. Ho deciso di provarci col tennis quando ho visto che vincevo una partita dopo l'altra”. Campione sudamericano Under 14, vicecampione del mondo a 16 anni. Fino al picco parigino, quando batté il connazionale Andrea Collarini. “In realtà quel successo non ha rappresentato molto per me: non sono cambiati i miei piani, semplicemente hanno iniziato a guardarmi con occhi diversi”.

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"Ruben rimarrà la persona più importante della mia vita tennistica. Mi ha educato, trasmettendomi valori e principi straordinari"
Agustin Velotti
Non si può negare che Agustin Velotti abbia talento...

Accanto a lui c'era Re, un secondo padre, la protezione dalle tempeste del mondo esterno. L'approccio tra i professionisti non era stato folgorante, ma discreto. In tre anni si è portato tra i top-200 ATP, cogliendo quello che ancora oggi è il suo best ranking: numero 166. Nel 2013 si trovava a San Paolo per giocare le qualificazioni, quando ricevette una brutta notizia. Il suo allenatore era stato vittima di un incidente ed era ricoverato in condizioni critiche. Subito dopo il torneo, Agustin è tornato a Corrientes per visitarlo. Lo trovò in coma indotto, ma i medici gli dissero che ce l'avrebbe fatta. E così decise di proseguire la sua attività. Re era astato investito da un auto il 6 febbraio 2013, e si è spento dopo diciannove giorni di agonia. Non è stato incidente, ma omicidio, almeno secondo i giudici. Dopo averlo investito, l'auto gli è ripassata sopra, lasciandolo esangue. Al volante c'era Andrea Carolina Torres Condado, sua amante.

L'hanno condannata: secondo gli inquirenti decise di ucciderlo quando lui gli comunicò il termine della relazione. La vicenda processuale, lunga e dolorosa, ha portato a una condanna a 5 anni e 6 mesi per abbandono di una persona in fin di vita. Nonostante l'investimento, infatti, Re è morto per un virus contratto in ospedale. Velotti ha saputo della morte di Re mentre si trovava a Salinas, in Ecuador. “È stato il momento più duro della mia vita – racconta – Ruben rimarrà la persona più importante della mia vita tennistica. Mi ha educato, trasmettendomi valori e principi straordinari”. Improvvisamente, ha perso motivazione. Sentiva che un pezzo della sua vita era volata via. “Si erano spenti all'improvviso 13 anni di relazione. Per me era un secondo padre, nutrivo grande affetto nei suoi confronti”. In realtà, quell'anno vinse il suo primo Challenger a Rio de Janeiro: lo dedicò a Re con una maglietta celebrativa, ma dietro il sorriso c'era la disperazione.

Lo scorso settembre, Velotti ha vinto il torneo ITF di Jablonec Nad Nisous (Repubblica Ceca), battendo in finale Gianluigi Quinzi
Agustin Velotti ha vinto 14 ITF e 2 Challenger, entrambi in Brasile: Rio de Janeiro 2013 e Curitiba 2016

“Volevo smettere di giocare. Ci avevo pensato già prima di vincere il Roland Garros: mi sentivo un ribelle, volevo un'altra vita, ma Ruben mi aveva restituito la ragione”. Ben diverso il senso di vuoto del 2013. Oggi, a quasi 29 anni, Agustin gira ancora il mondo nel tentativo di dare una svolta. “Col tempo mi sono reso conto di essere molto fortunato”. È però un dato di fatto che dopo la morte di Re non è più tornato ai livelli di un tempo. E come se il suo corpo abbia patito l'assenza di una guida. Prima ha avuto la mononucleosi, poi nel primo match dopo il rientro è caduto e si è rotto i legamenti di una mano. Come se non bastasse, sono sorti problemi al polso, pericolosamente simili a quelli di Juan Martin Del Potro. “Per 2-3 anni ho avuto una sequenza impressionante di infortuni. Ne risolvevo uno e ne arrivava un altro. Sono cose difficili da gestire, anche perché non hai guadagni e sorgono preoccupazioni di natura economica. È dura non avere uno staff solo perché non puoi permettertelo. È un peso, ti trancia la carriera”.

Adesso Velotti ci riprova. Ha trovato una persona che crede in lui, uno che è andato ben oltre i propri limiti: Carlos Berlocq. “Non ho dubbi di poter diventare un top-100. Ho molta fiducia perché sto lavorando solo per questo. Carlos è duro ed esigente, ci alleniamo molto e con grande intensità. Lavorare con lui è una grande opportunità, perché ha esperienza e una motivazione eccezionale. Si concentra sui dettagli, non ti fa passare niente. Non c'ero abituato. Il suo arrivo ha rappresentato una luce nel mio cammino”. Appassionato di serie TV, guardandone una ha trovato una spinta ancora maggiore: The Last Dance, dedicata a Michael Jordan. “L'ho guardata due volte perché mi ha ispirato moltissimo”. Parlando di sé, ammette di essere stato poco ordinato dopo la morte di Re, saltando i sacrifici che sarebbero stati necessari. “Però sono umile e ho voglia di imparare – dice con orgoglio – credo di essere una buona persona, con buoni principi e di parola”. E farà il possibile per mantenere quellandata al suo amato Ruben. Magari già a partire da oggi.