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CIRCUITO ATP

Laslo Djere, la grande forza di un orfano

Perdere entrambi i genitori è stato un colpo durissimo per Laslo Djere. Il 25enne serbo ha saputo trarre forza e motivazione dal distacco: al Sardegna Open si è aggiudicato il suo secondo titolo ATP: “A volte mi sembra di avere 50 anni, ma so di non essere la persona più sfortunata del mondo. La vita va avanti”.

Riccardo Bisti
19 ottobre 2020

“Quando ho paura, cerco di capire il perché. Di solito accade quando penso alle possibili conseguenze di una sconfitta”. Per superare questo limite, Laslo Djere non ha più bisogno dei consigli dello psicologo dello sport con cui lavora da tempo. La vita lo ha costretto a prove ben più dure. Il serbo è orfano. Neanche il più grande successo potrà ridargli la gioia di poter abbracciare i suoi amati genitori. Però ha trovato forza nel loro ricordo. E a loro ha dedicato il successo al Sardegna Open di Santa Margherita di Pula, torneo ATP una tantum organizzato dall'incantevole Forte Village Resort. In finale, in mezzo a qualche polemica per un medical time out, ha superato Marco Cecchinato col punteggio di 7-6 7-5. Una bella rivincita, visto che contro il siciliano aveva perso la finale dell'ASPRIA Tennis Cup di Milano, nel 2016. Per Djere è il secondo titolo ATP in carriera dopo il sorprendente successo dello scorso anno a Rio de Janeiro. Durante la premiazione in Brasile raccontò per la prima volta la sua tragedia familiare.

“Non volevo menzionarli, ma poi ho sentito la necessità di condividere questa storia – dice Djere – perché adesso penso di poter sopportare la loro perdita”. Quella di Djere è una storia particolare. Si affianca a quelle dei giocatori più sfortunati. Ma se Tommy Haas, Brian Baker e altri hanno avuto mille vicissitudini fisiche, le sue sono state di natura familiare. E pensare che il tennis non era lo sport di famiglia. Papà Caba era un discreto calciatore e giocava in una squadra della sua città natale, Senta (cittadina di 25.000 abitanti a due passi dall'Ungheria. Non è un caso che Djere parli ungherese e ritenga Budapest uno dei suoi tornei preferiti). Quando Laslo aveva 5 anni, rimase affascinato dal tennis grazie alla rivalità Sampras-Agassi e ai risultati del vicino di casa Goran Ivanisevic. Mentre lui prendeva le prime lezioni, portò con sé anche il figlio. Gli diedero una racchettina e lui iniziò a giocare contro il muro.

"Arriverà il momento in cui rivedrò i miei genitori, ma per adesso voglio fare del mio meglio e renderli orgogliosi di me. So che mi stanno guardando"
Laslo Djere
Le fasi salienti della finale di Santa Margherita di Pula contro Marco Cecchinato

“Fino a che è rimasto in vita, tutti i miei ricordi tennistici sono legati a lui” racconta il serbo, che con il successo in Sardegna è risalito al numero 53 ATP (è stato anche in 27esima posizione). Col tempo si capì che Laslo aveva un buon talento e così iniziò a viaggiare per tornei. La formula era semplice: papà guidava, lui dormiva sui sedili posteriori. Andavano ovunque: Belgrado e Novi Sad, ma anche città più piccole come Pancevo, Kraljevo, Subotica e Kikinda. C'erano mini-tornei che duravano un weekend. “Mi fermavo sabato e domenica, si rimaneva fino al lunedì se andavo in finale. Era così per tre weekend al mese”. Come ogni bambino, Djere dava troppa importanza ai risultati. Per sua fortuna, il padre non era un fanatico e sapeva trasmettergli le emozioni giuste: complimenti quando vinceva, incoraggiamenti in caso di sconfitta. La prima disgrazia si è palesata nel novembre 2010. Quando Laslo aveva 15 anni, scoprirono che mamma Hajnalka aveva un cancro al colon. Quando se ne accorsero era a uno stadio già avanzato. Solo cure palliative: è morta nel 2012, a 44 anni.

La famiglia Djere si unì ancora di più, anche perché c'era la nonna materna a cui badare, la stessa che aveva trasmesso ai nipoti (Laslo e la sorella Judit) la passione per la cucina, in particolare per i dolci. E così Laslo ha continuato a crescere, un po' con coach Boris Conkic, un po' con il padre. “Non è mai stato il mio coach ufficiale, ma aveva un ruolo importante nella mia vita – racconta il serbo – guidava la mia carriera, stabilivamo insieme logistica e programmazione. Ricordo ancora la sua esultanza quando ho superato le qualificazioni a Parigi nel 2016. E anche quando non era presente, sapevo che seguiva i miei incontri. Dopo ogni partita ricevevo un suo messaggio”. Se Laslo aveva perso, sapeva rasserenarlo con poche parole: “Il tuo gioco va bene, avanti così, è tutto ok”. Nel 2017 Djere è entrato per la prima volta tra i top-100 ATP, cogliendo ben cinque finali Challenger. Era felice. Quando tornò a casa per qualche settimana di relax, altra botta: anche il padre aveva un tumore. Anche lui al colon, proprio come la mamma.

La premiazione di Rio 2019, con Gustavo Kuerten e il finalista Felix Auger Aliassime
Rio 2019, il commovente discorso di Laslo Djere: "Ho perso entrambi i genitori"

Perché mi sta succedendo questo? Perché va così? Perdere un genitore non era abbastanza? Queste domande lo hanno travolto, ma stavolta era lui a dover prendere in mano la situazione. “Ho avvertito un forte senso di responsabilità per lui e per mia sorella. Dovevo essere forte. Il tennis mi portava spesso in giro per il mondo, ma ogni volta che tornavo a casa cercavo di dargli una mano. Diagnosi, dottori, ricerche, telefonate.... Alla fine si è sottoposto a radioterapia e chemioterapia, ma non hanno funzionato. È morto a 55 anni”. E lui si è trovato orfano di mamma e papà ad appena 23. Non aveva raccontato a nessuno i suoi dilemmi interiori. La vittoria a Rio de Janeiro, una sorta di fiaba tennistica (con tanto di vittoria su Dominic Thiem), ha stappato ogni incertezza e gli ha fatto raccontare tutto. “Diversi colleghi sono stati gentilissimi con me – ricorda – Djokovic ha scritto un bel messaggio su Twitter, mentre Kyrgios mi ha abbracciato non appena ci siamo visti, qualche settimana dopo a Indian Wells”.

Difficile trovare una morale per una storia del genere, perché è impossibile comprendere un dolore come quello vissuto da Djere. Meglio lasciar parlare lui. “Se continui a crederci e provarci... verranno tempi migliori e accadranno cose fantastiche. Io penso sempre ai miei, mi hanno plasmato sia dentro che fuori dal campo. A volte sento di avere 50 anni, ma so di non essere la persona più sfortunata della terra. Altri hanno problemi altrettanto gravi. Devo andare avanti, a volte mi mancano i messaggi di mio padre e il sostegno di mia madre. Arriverà il momento in cui li rivedrò, ma per adesso voglio fare del mio meglio e renderli orgogliosi di me. So che mi stanno guardando”. Quando lo abbiamo conosciuto, in occasione del suo successo a Milano nel 2018, disse che gli sarebbe piaciuto entrare tra i top-10 e magari giocare per una volta le ATP Finals. Col suo tennis così arrotato, adatto soprattutto alla terra battuta, sarà molto difficile. Ma con la forza di mamma e papà non si sa mai. “Se continui a crederci e provarci...” . Sembra davvero convinto, quando lo dice.