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MENTAL TENNIS

Devo giocare il mio tennis!

Esplorare soluzioni nuove, senza fossilizzarsi su un unico schema, può aiutarci a trovare sbocchi vincenti che nemmeno avremmo immaginato. Ci spiega come fare Gabriele Brambilla, nella terza puntata della rubrica sugli aspetti mentali legati al tennis.
Gabriele Brambilla
1 marzo 2021

Quante volte, durante un cambio di campo, nel corso di un'intervista, al termine di una partita, avete sentito dire da tennisti, professionisti e non, la frase "Devo giocare il mio tennis!" o, come alternativa, “Voglio concentrarmi sul mio tennis!"? Probabilmente molte. Se da un lato sono dichiarazioni che vanno nella direzione del positivo, di un fissarsi un obiettivo, dall'altro possono nascondere diverse rigidità, ad esempio un non aprirsi all'esistenza di un avversario che eventualmente può anche non favorire il nostro tennis di sempre, così come il non essere disponibili a cambiarsi, a trasformarsi per migliorare, per crescere. Proseguiamo dunque questo percorso quindicinale finalizzato alla crescita e allo stare bene in ambito tennistico e, come espresso nell'ultimo articolo, anche in ogni altro comparto della vita, nell'augurio che i primi due approfondimenti possano per lo meno avervi stimolato a uno spunto di riflessione.

Ci sono tantissime frasi che nel tennis e altrove arrivano dalla pancia, dichiarazioni molto viscerali e prive di una riflessione, di un approfondimento. Frasi che se ragionate e viste con più oggettività vengono rivalutate (nel senso di riconsiderate) e viste con altri occhi persino dalle stesse persone che le esprimono, a dimostrazione di come ciò che diciamo non è sempre ciò in cui crediamo. Il problema è che spesso ci facciamo influenzare da ciò che diciamo, da ciò che sentiamo dentro, così da prendere strade o fare scelte tennistiche lesive per la nostra prestazione sul campo, per il nostro benessere. Perché spesso dietro al nostro esprimerci, e a maggior ragione se non sappiamo riconoscere l'origine del nostro sentire, c'è un ego che si vuole ribellare, c'è una non accettazione di una difficoltà, di un proprio limite, c'è una proiezione che ci induce a non valorizzare il nostro avversario.

Ci sono infinite verità dietro all'esclamazione “Devo giocare il mio tennis!” E, per l'amor del cielo, ci possono essere anche delle verità positive, come ad esempio il desiderio di divertirsi giocando un tennis che ci piace, così come la volontà di proseguire nel praticare uno stile tennistico in cui crediamo. Ci mancherebbe. Tuttavia non mi voglio fidare ciecamente. Perché nella maggior parte dei casi ad esclamare queste frasi viscerali sono giocatori che dimostrano di soffrire un determinato stile di gioco, di avere difficoltà nell'accettare il gioco dell'avversario e le diversità che vi possono essere tra il proprio modo di essere e ciò che gli (o le) viene offerto al di là della rete. Spesso a parlare con la pancia sentiamo tennisti che io credo non del tutto consapevoli di se stessi e dei propri limiti e ben lungi dal praticare la disciplina dell'accettazione, qualunque cosa (situazione di gioco, condizioni atmosferiche, punteggio, avversario, infortuni) gli (o le) si possa parare dinanzi. Addentriamoci di più nella frase di origine: “Devo giocare il mio tennis!”

PLAY IT BOX
Facendo cose nuove si incrementa il proprio bagaglio tecnico, mettendosi in gioco si migliora la capacità di gestire le proprie emozioni, accettando il gioco dell'avversario si stimola la capacità di trovare le soluzioni tattiche utili a metterlo il più possibile in difficoltà.

Allora, prima di tutto nessuno ti impone di giocare il tennis di un altro! Naturalmente devi giocare il tuo di tennis. Tuttavia, questo non significa che ponendo delle modifiche al tuo tennis, diventerai un'altra persona o un altro giocatore. Semplicemente rimarrai te stesso e allo stesso tempo sarai migliorato perché avrai provato nuove soluzioni. È un anche: è imparare pur rimanendo se stessi. Si può iniziare con il districarsi tra le emozioni. Ad esempio, hai mai provato a fare scelte tecnico/tattiche di cui normalmente hai paura? Chissà, magari dietro a quella tensione c'è la paura di sbagliare, di fallire... Chissà se stando dentro a quella paura, questa magari si scioglierà... Provare per credere (o per non credere).

Hai mai allenato il backspin (in Italia impropriamente chiamato soltanto “back”)? Hai mai pensato che sapere fare bene sia il topspin sia il backspin può agevolare una affinamento della tecnica? Spesso qui il limite mentale è che il backspin viene da molti considerato un colpo di difesa, un colpo per giocatori molli, non considerando che è il modo in cui si fa una cosa che fa la differenza, non tanto la cosa in sé. Tradotto, questo significa che il backspin può anche essere un colpo d'attacco. Ma poi, qualora lo si facesse per difendersi, quale sarebbe il male? Anche qui, spesso c'è un rifiuto a cambiare anche solo per qualche minuto il proprio tennis, dedicandosi a “tenere”, a “remare”. Come se la difesa fosse una cosa per deboli.

Ti sei mai allenato ad ammorbidire le traiettorie dei tuoi colpi e al renderle il più possibile diverse? Una palla tesa, una a parabola, una tesa e una a parabola, così per abituarsi a cambiare, arma importante qualora incontrassimo un avversario che soffre il cambio di ritmo oppure che soffre in particolare una traiettoria: se so fare tutto, saprò anche scegliere che cosa fare per mettere in difficoltà il mio avversario.

"Devo fare il mio gioco" è una delle frasi pronunciate più spesso da Camila Giorgi

Il tema delle traiettorie è molto sentito da chi recita “Devo giocare il mio tennis!”, perché spesso chi dichiara tale frase è un amante delle traiettorie tese, del gioco di “classe”, delle finezze, del gioco d'attacco, come se la classe fosse solo parte dell'estetica e il gioco d'attacco fosse solo il colpire forte e teso. La maggior parte di questi giocatori soffrono i cosiddetti pallettari (ovvero chi tende a limitarsi a mandare la pallina in campo, senza particolari intenzioni e attraverso traiettorie alte e morbide nonché sporche), al punto da innervosirsi in un confronto con loro e compromettere le proprie prestazioni. In questi casi molti escono dal campo esclamando “Questo non è tennis!”, “Io sono tecnicamente superiore!”, “Io continuerò a giocare il mio tennis!”, dimenticandosi innanzitutto che non sta scritto da nessuna parte che il tennis non possa essere vario e magari brutto per taluni, e soprattutto non coltivando la capacità di andare oltre e lavorare per migliorarsi al fine di vincere queste dure partite ma soprattutto al fine di crescere come uomo e quindi anche come tennista, dato che il tennista è un uomo (cosa spesso non considerata).

C'è sempre questa paura dinanzi al cambiamento. Come se, trasformandosi, si temesse di perdere la propria essenza. E nessuno, ripeto, nessuno vi obbligherebbe a rimanere su una nuova strada qualora quel piccolo cambiamento (che concretamente potrebbe ad esempio tradursi in un gioco più di rete, o più di fondo campo, o più attento, o più libero, o più vario in generale) non vi soddisfacesse, non vi facesse stare bene o, ancora più semplicemente, non vi divertisse. Si può sempre tornare indietro. Provare per credere (o per non credere). Variare è imparare, qualcuno disse. Sicuramente facendo cose nuove si incrementa il proprio bagaglio tecnico, mettendosi in gioco si migliora la capacità di gestire le proprie emozioni, accettando il gioco dell'avversario si stimola la capacità di trovare le soluzioni tattiche utili a metterlo il più possibile in difficoltà. Al prossimo appuntamento, tra quindici giorni circa, che sarà dedicato al tema delle emozioni. L'invito sarà quello di sentirle, riconoscerle, affrontarle. Al fine di evoluzione e di benessere.


Puntate precedenti

- Benessere ed evoluzione
- Il benessere nel colpire

L'autore, Gabriele Brambilla.
Attraverso l'attività di maestro di tennis ho sempre cercato di esprimere una filosofia, un pensiero che andasse oltre certi rigidi schemi che credo limitino l'esprimerci al meglio, dentro e fuori il campo da tennis. Sin dalle mie prime esperienze di insegnamento ho provato a unire la mia passione per il tennis con la mia predisposizione a temi quali la psicologia, l'introspezione e l'ascolto di se stessi, frutto di percorsi di vita tra scrittura, psicoterapia, recitazione, creazioni musicali. Di recente ho deciso di definire queste tematiche come Benessere ed evoluzione pur non avendo piena fiducia nelle definizioni dato che corrono il rischio di schematizzare qualcosa che ha infinite pretese.

Benessere ed evoluzione vanno nella direzione dello stare bene e della crescita, due valori che nella nostra cultura sono spesso visti come incompatibili. Qualcosa sta finalmente cambiando nella nostra società e molte persone sanno ammettere che si può migliorare attraverso il sorriso.

Ma attenzione: lo spazio da me curato su Tennis Magazine Italia non vuole essere un manuale su cosa fare per arrivare a un risultato dentro e fuori il campo da tennis. Vuole essere innanzitutto l'espressione di una filosofia che su di me ha funzionato e che mi ha portato a ottenere tante soddisfazioni, pur intervallate da grandi delusioni. Non ho la pretesa di voler imporre un metodo valido per tutti: il percorso è personale, sempre. Io metterò in luce ciò che credo sia stato utile per la mia crescita.

A volte descriverò esercizi pratici che credo possano portare a risultati positivi. Tuttavia voglio rimanere nell'umiltà di pensare che la mia filosofia possa non essere valida per alcuni o possa essere soltanto di spunto, di ispirazione per altri, i quali proseguiranno comunque in una loro strada fatta di personali intuizioni.

Da poco è sul web il mio podcast Tennis Benessere ed Evoluzione dedicato a questi temi. Lo si può trovare su Spreaker e su altre piattaforme (Spotify, iTunes), così come sul mio sito www.gabrielebrambilla.net.