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LA RACCHETTA

WIP Panatta: l’arma di Adriano

Panatta era un testimonial particolarmente accattivante e un imprenditore del nord-est, Walter Pedrazzoli, proprietario di una fabbrica di tubolari metallici, creò la racchetta dei desideri di Adriano: la WIP, Walter Italian Precision. Solo che Panatta voleva il legno e allora Pedrazzoli…

Corrado Erba
9 luglio 2020

Il binomio vincente Panatta/Wip fu il frutto del perfetto abbinamento tra due italiche realtà: la felice produttività, unita a un sano realismo, di un uomo del nord, Walter Pedrazzoli e la funambolica allegria di un romano spensierato, Adriano Panatta. Le cronache raccontano di come la Pedrazzoli IBP, fiorente fabbrica di tubolari metallici, una realtà che è ancora ben presente nel nord-est, decise un giorno di fabbricare racchette dello stesso materiale. Era il 1969 quando Pedrazzoli, appassionato tennista e in viaggio di lavoro negli Stati Uniti, trovò il tempo di visitare alcuni negozi sportivi alla ricerca di prodotti innovativi, notando che le leghe metalliche stavano diventando il nuovo trend.

Tornato in Italia, ci mise due anni per progettare e costruire quello che pensava potesse essere il miglior attrezzo per competere con la T2000, la grande novità dell’epoca, telaio ideato da Renée Lacoste e poi licenziato a Wilson. Uscì dalla fabbrica una scintillante metallica, dal nome semplice: WIP, acronimo di Walter Italian Precision. Alla ricerca del testimonial perfetto, Pedrazzoli scelse inizialmente quel bizzarro quadrumane di Beppe Merlo, che però era ormai a fine corsa. Passarono pochi mesi e decise che serviva un nuovo, giovane testimonial. Scelse Adriano, of course, che già si stava affermando come l’idolo delle italiche folle, un’icona di quei felici Seventies.

«Pedrazzoli fece una cosa incredibile, solo per accontentare me, mise in gioco l’intera azienda». Per produrla, mise in piedi una fabbrica nuova di zecca a Borso del Grappa, destinata a costruire racchette a una media di centomila l’anno

Non era ancora l’Adriano nazionale, ma un filiforme giovanotto di belle speranze, bello come il sole, che abbordava gli avversari usando la rete come un bucaniere si arrampicava sulle tolde delle navi avversarie. Il pubblico sospirava a ogni discesa e illanguidiva ogni volta che, con gesto noncurante, spostava il ciuffo con le mani, prima di sparare una cannonball. Adriano ci giocò qualche match, fece moltissime foto ma comunicò che col metallo non intendeva giocare: era desolato, ma non sentiva sufficientemente la palla. E qui entrano in ballo chimiche personali, decisioni prese sull’onda di una felice intuizione, più che su logiche strettamente industriali.

Un giovane e meno giovane Adriano, sempre impugnando una WIP

Panatta, nel 1972, era una grande promessa ma aveva vinto solo un campionato italiano. Eppure, Pedrazzoli decise che doveva accontentarlo. Che venissero rimosse le linee di produzione per le racchette metalliche e si avviasse una linea di produzione di classiche racchette di legno. Panatta ancora lo ricorda: «Pedrazzoli fece una cosa incredibile, solo per accontentare me, mise in gioco l’intera azienda». Inizialmente, il primo telaio, la Wip Panatta Autograph, venne prodotta da un’altra fabbrica, la Zanotta, sita nel comasco, mentre Pedrazzoli metteva su una fabbrica nuova di zecca, con un capannone di 5.000 metri quadri a Borso del Grappa, destinata a costruire racchette a una media di centomila l’anno.

Era una racchetta che assecondava i colpi di Panatta. La leggenda vuole che, data l’elasticità richiesta, durante i primi test, i telai andassero in pezzi. Nel 1978 la Wip raggiunse il boom, ottantamila telai venduti: «Però non penso che Pedrazzoli abbia mai guadagnato molto con il tennis, era solo la sua passione» dice Adriano

Era una racchetta particolare la WIP. In un’epoca dove i telai di legno si assomigliavano quasi tutti, il biondo telaio aveva un’elasticità accentuata, che piaceva moltissimo ad Adriano perché ne assecondava i colpi: il drive violento, i drop accarezzati, i rovesci morbidi e profondi. La leggenda vuole che, data l’elasticità richiesta, durante i primi test i telai andassero in pezzi uno dopo l’altro, tanto che Adriano richiese venisse costruita una copia identica della sua vecchia Maxima/Dunlop. Raggiunto il risultato finale, la Wip era un telaio gentilissimo, di una flessibilità quasi femminea, lunga 68,5 centimetri con bilanciamento neutro a 31,6 centimetri e un peso poco superiore ai 400 grammi.

Ci vinse Roma, Parigi, la Davis Cup, le folle impazzivano, i cori ritmati risuonavano in tutta Europa. Era talmente morbida e particolare che piacque tantissimo al sodale di Adriano, quel grande istrione di Ilie Natase. Ne provò una a Wimbledon e chiese di tenerla. Ci arrivò in finale, spaccò le corde, tornò al suo telaio originario e la vittoria svanì. Nel 1978 la Wip raggiunse il boom, ottantamila telai venduti. Nel tempo, Adriano cambiò quattro modelli: la già citata Autograph, poi battezzata Prestige, con le quali vinse tutto, per poi passare in età (tennisticamente) avanzata a due telai dal cuore aperto, la Panatta Wood Graphite e infine la Shadow (1983). La magia della Wip iniziò a svanire, con il declino di Adriano. Le racchette da tennis non erano mai stato il core business della Pedrazzoli, come conferma Gabriele Fabbris, nel bel libro di Beppe Russotto, Racchette italiane: «Non penso che Pedrazzoli abbia mai guadagnato molto con il tennis, era solo la sua passione».

Prima di Panatta, il testimonial della WIP era stato il mitico Beppe Merlo, ormai però non esattamente un giovanotto.

La Wip passò alla produzione di racchette in fibra, riducendo sempre più la fetta di mercato, fino alla decisione di abbandonare la produzione, che finì intorno alla metà degli anni Ottanta. Non rimane purtroppo molto della sua storia: la IBP è rimasta una fabbrica dedita ai tubolari metallici ma, ceduta la proprietà, nemmeno sul sito istituzionale vi è accenno a quella grandissima avventura.